Chi è Jannis Kounellis? O meglio, chi era? visto che è morto due anni fa. Un trombone di regime, intoccabile, che pensava di non aver avuto i riconoscimenti che gli si dovevano, un po’ vittima e un po’ cialtrone, decadente, come sostengono alcuni o un gigante che ha modificato la grammatica dell’arte, come dicono altri?
Fino al 24 novembre la Fondazione Prada di Venezia ha organizzato una sua retrospettiva, curata da Germano Celant, con più di sessanta lavori che vanno dal 1959 al 2015. Una bella occasione per vedere, o rivedere, la summa della sua opera nell’incantevole magione di Ca’ Corner della Regina che lentamente vede proseguire, grazie appunto alla Fondazione Prada, il suo restauro conservativo. Con la messa in sicurezza negli anni scorsi degli affreschi, stucchi e materiali di pregio del primo piano, del mezzanino e del secondo piano nobile. Quest’anno saranno restaurate le superfici del portego e del secondo piano nobile. Insomma, un luogo incantevole per farsi un’idea personale.
La mostra, come dicevamo, è curata da Germano Celant, oramai osannato come un guru, vestito sempre in total black, di Prada ovviamente. Quello che unisce Celant a Kounellis è una sorta di sovversivismo giovanile. Celant scriveva di artisti come guerriglieri e Kounellis, in un impeto di operaismo simil Tronti, racconta della funzione sociale dell’arte e della capacità dell’anarchia di comprendere e non dare giudizi. Kounellis, poi, è uno degli esponenti più rappresentativi di quell’Arte povera patrocinata nel 1967 proprio dallo stesso Celant. Da guerriglieri a personaggi amati dalla grande borghesia illuminata. Al funerale a Roma c’era pure la sindaca pentastellata in una sorta di nemesi al contrario.
Kounellis nasce in Grecia al Pireo nel 1936 e si trasferisce in Italia nel 1956 assieme alla prima moglie Efi. Due anni dopo l’arrivo a Roma inizia la sua carriera artistica influenzato da Burri e Fontana. Nel 1966 come molti altri comincia ad annunciare la Morte della Pittura. È del 1967 il suo famoso esordio con le gabbiette contenenti delle cocorite. Del 1969 i 12 cavalli esposti alla Galleria L’Attico di Fabio Sargentini a Roma. «Ciò che dobbiamo fare, sostiene, è stabilire un’unione fra la vita e la nostra pratica artistica».
Thomas McEvilley scrive che Kounellis si «pone dalla parte della vita piuttosto che dell’arte» in una logica marxista; la sua famiglia era comunista. E poi precisa «che con il suo materialismo sta dalla parte della vita vissuta piuttosto che da quella della rappresentazione». L’anno delle cocorite è lo stesso dell’inizio dell’Arte povera ed è il periodo più aggressivo e materialista o marxista. Sempre McEvilley sostiene che in molte delle sue opere Kounellis celebra il comunismo mediante l’uso dell’acciaio e con le torce a gas «suggerisce un’estetica di tipo industriale».
Germano Celant, al contrario, punta tutto sull’aspetto trasformativo del suo lavoro. Trasformativo e pieno di mutamenti. «Ha dato corpo, scrive, a una rappresentazione unica, che non si è nutrita di ripetizioni ma di continui mutamenti e trasformazioni, per rimanere ancorato al passato quanto al presente». E il suo, volente o nolente, è un passato che ingloba oltre che il marxismo pure la cultura greca. Classica. Vasi, statue, frammenti dell’età d’oro dell’arte come memoria di un sentimento negato ma nel contempo mai rimosso.
La mostra veneziana presenta una selezione di suoi lavori provenienti da varie istituzioni come la Tate Modern di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, il Museum Boijmnas Van Beuningen di Rotterdam, il Castello di Rivoli a Torino. Naturalmente non ci sono né cavalli né cocoriti. La sensibilità odierna nel frattempo è mutata. Chi esporrebbe un «mongoloide» (si apostrofava così) seduto nell’angolo di una sala? Allora tutto ciò era scandaloso ma possibile. Oggi, Dio ce ne scampi… Al massimo si rappresentano dei poliziotti che manganellano un «afroamericano» (ultimamente si dice così) accovacciato per terra.
L’allestimento è particolarmente suggestivo e il contrasto fra la povertà dei materiali e la sontuosità delle sale decorate ad affresco e con stucchi è strabiliante. Detto questo è chiaro che, come qualunque retrospettiva, manca il tocco dell’artista per rendere vivi gli elementi. Tutto è un po’ asettico e in un certo senso inquadrabile. Si perde così quella forte energia che caratterizza i lavori di Kounellis. La maestosità in ogni caso rimane, come negli armadi legati con cavi d’acciaio che pendono dal soffitto del 1993-2008. O il muro ricoperto in foglie d’oro (Tragedia civile) del 1975 con davanti un attaccapanni con il cappello dell’artista (tocco felice del curatore).
Questo contrasto testimonia la condizione esistenziale dell’artista (assente) tra passato e presente: un autoritratto vagamente magico e nello stesso tempo surreale e tragico. Qui troviamo tutto il pensiero contraddittorio di Kounellis che vaga tra l’opulenza della classicità e la pochezza del vile lavoro umano. Anche se il materiale dell’industria che ha utilizzato simboleggia sicuramente il lamento per la condizione dell’operaio e il suo triste sfruttamento da parte del capitale.
Con il passare degli anni l’artista crea delle vere e proprie rappresentazioni teatrali con materiali disposti più o meno in ordine, tra presenza e assenza. Anna Stippa su Interface scrive: «Kounellis ci ricorda che materiali come il legno, la pietra, il carbone e il fuoco appartengono al mondo da migliaia di anni» e che tutto questo viene reso dall’artista con la bellezza della semplicità delle piccole cose che acquistano a volte il sapore kafkiano dell’inconoscibilità. Le porte chiuse da pietre, legno, macchine da cucire, campane, statue classiche, esaltano appunto la sua visione metafisica, surreale della vita. Alla fine rimane un senso di spaesamento unito a un forte contenuto sensoriale profuso dagli odori (il caffè, la grappa), i fumi del fuoco; dal suono con la musica dei flautisti sparsi nelle diverse sale che intonano frammenti di Mozart.
La retrospettiva si conclude, o si apre, al piano terra con film cataloghi, inviti, manifesti e fotografie, per testimoniare il suo lungo e sfaccettato percorso.