Thomas Bernhard, Amras, traduzione di Magda Olivetti, prefazione di Vincenzo Quagliotti, Einaudi, p. 87, € 15.–.

Thomas Bernhard, Antichi Maestri, traduzione di Anna Ruchat, Adelphi edizioni, p. 188, € 12.–.


Le sferzate di Bernhard

Tornano in libreria le opere uniche del grande scrittore austriaco
/ 11.11.2019
di Luigi Forte

L’enfant terrible della letteratura austriaca, Thomas Bernhard, uno dei massimi drammaturghi e romanzieri del dopoguerra scomparso nel febbraio del 1989, torna in libreria. Da tempo ci mancavano le sue tirate ossessive e maniacali, l’ironia sferzante, i paradossi e le provocazioni a non finire. Ricordavamo con una certa nostalgia quei suoi personaggi deliranti e folli, eterni sconfitti segregati nella loro paranoia, per i quali la vita è solo un balbettio inconcludente prima del vuoto. E si era un po’ scolorita nella memoria anche la sua scrittura cadenzata e musicale, ricca di contrappunti, dal drammatico all’umoristico, che piaceva molto a Italo Calvino. Chissà se i lettori di oggi avranno la curiosità di avvicinarsi a un autore tanto ostico quanto affascinante.

Einaudi ripropone ora il suo romanzo giovanile Amras del 1964 men-tre Adelphi ristampa Antichi Maestri, un’opera del 1985. Un arco di tempo in cui maturò l’uomo di teatro con testi originalissimi come Una festa per Boris, La forza dell’abitudine, e ancora fra i molti, Minetti, L’ignorante e il folle, per finire poi con l’ultimo del 1988, Piazza degli eroi, fortemente provocatorio. Ma furono anche anni in cui lo scrittore si affermò nel panorama europeo come uno dei più originali romanzieri. E accanto ai titoli oggi riproposti si deve ricordare, fra i suoi moltissimi lavori, testi come Perturbamento, La fornace, Il soccombente, A colpi d’ascia, e l’ultimo, Estinzione, con una fluviale requisitoria contro il proprio mondo.

Fin dall’inizio in questo scrittore tutto è anomalo: personaggi, situazio-ni, stile. In Amras due giovani fratelli tirolesi, K. e Walter, sopravvissuti involontariamente al suicidio collettivo della famiglia, vengono rinchiusi dallo zio materno per un paio di mesi in una torre per sottrarli al giudizio della collettività e difenderli dal mondo circostante. È il ventenne K., studioso di scienze naturali, a raccontare la propria segregazione con il fratello appassionato di musica e poesia e affetto da una grave forma di epilessia di cui soffriva anche la madre. E lo fa frantumando la narrazione fra lettere, schizzi, pagine di diario, monologhi e aforismi: così il flusso stesso della vita si disperde nel gioco imprevedibile delle parole che descrivono il caos senza mai cedere ad esso, come ricorda Vincenzo Quagliotti nella sua lucida prefazione. Sono le frasi della sopravvivenza, amalgama di vocaboli, frammenti che mimano una totalità di vita ormai irrealizzabile, in un divenire inconcluso e vuoto come il monologo del principe Saurau nel romanzo Perturbamento.

A distanza di un ventennio ecco la figura dell’anziano musicologo e critico d’arte Reger in Antichi Maestri, che da trent’anni, a giorni alterni, si reca nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna ad ammirare per ore il celebre quadro di Tintoretto Uomo dalla barba bianca. Anch’egli, che pur scrive articoli per il «Times», vive in un isolamento quasi irreale, confortato solo dalla presenza del custode del museo Irrsigler, a cui trasmette il suo profondo sapere in un rapporto «a distanza ideale da ogni punto di vista». Il mondo maniacale di Reger emerge dal racconto dell’amico insegnante Atzbacher che come un regista mescola personaggi e citazioni, in una sorta di paradossale monologo a tre voci, al punto che la narrazione viene definita «commedia» dal suo stesso autore. La vicenda incalzante e drammatica di Amras si stempera qui nel gioco focoso e ironico di un Bernhard che trasforma la polemica in un divertissement senza pari e veste i panni di un giustiziere cinico, divertito e impietoso.

In realtà non è difficile riscoprire anche negli anni della maturità i temi dello scrittore giovane. Il solipsismo e la lucida follia di K. dopo la morte del fratello Walter a cui la malattia ha tolto ogni speranza inducendolo al suicidio, l’impotenza dei due giovani a vivere nella realtà, quella sorta di stato crepuscolare a cui la loro esistenza soggiace e il tema centrale della morte, pur esorcizzata con infinite farneticazioni, sono un lievito costante nelle pagine di Bernhard, spesso addolcito da una certa dose di humour. Come, ad esempio, la gustosa invettiva di Reger sulle latrine di Vienna città della musica: stambugi nauseabondi e fatiscenti, luridi come in nessun altra parte del mondo.

Del resto in Antichi maestri nulla e nessuno si salva. Né l’Austria, paese ridicolo dove tutto è caricatura, pozzo nero di comicità, né gli austriaci, opportunisti nati con una vita intessuta di dissimulazioni e di oblio, né la grande musica (con l’eccezione forse di Wagner) o l’arte degli «artisti di stato» come Dürer, Velasquez, Rembrandt o certa letteratura romantica, dove si salva solo Novalis, l’unico poeta amato da Reger. Per non parlare del furioso attacco contro il filosofo Heidegger a cui nulla viene risparmiato. Lo definisce «ridicolo filisteo nazionalsocialista coi pantaloni alla zuava» o anche «imbecille delle Prealpi» con il berretto nero da Foresta Nera in testa e filosofo delle donne.

Dal suo buen retiro nella Sala Bordone Reger osserva con rabbia e humour un mondo inquietante in cui nessun essere umano trova più protezione, mentre la sua mente non insegue l’incanto della bellezza, meno che mai quella artistica, ma cerca il fallimento. Bernhard frantuma in questo romanzo di macerie ogni certezza, anche quella sublime dell’arte. Non a caso il suo Reger studia i difetti dei capolavori, un errore palese, il punto che rivela in modo inequivocabile la sconfitta dell’artista. Come perlustrando uno spazio ignoto solo con la sua lucidità, l’ironia e la forza della disperazione alla ricerca di nuovi gesti e risposte. Lo scrittore austriaco è una sorta di sciamano che comunica con le Potenze del Nulla e i suoi romanzi sono esorcismi contro la morte. E la bellezza, anche e soprattutto quella artistica che Reger in Antichi Maestri osserva con maniacale compostezza e una maliziosa risata, non è che eterna illusione per chi come Bernhard insegue una verità che guardi nel conflitto disperato della vita oltre il buio eterno.