«Zzala è un iconoclasta». Mentre mi appropinquo a scrivere le prime impressioni su Re Mida, il secondo disco ufficiale di Lazza, al secolo Jacopo Lazzarini, mi risuona in testa questa barra, estratta proprio da uno dei singoli del suo nuovo disco Netflix.
La voglia di distruggere le «icone» – dove per icone si intendono i mostri sacri che venivano prima, al di là del genere – è tipica del rap: i Club Dogo non erano come I Colle o come Fibra, Achille Lauro e la Dark Polo Gang arrivavano a dire addirittura di «non essere rap». Eppure, per chi questa cosa la conosce (non solo come ascoltatore, ma anche come esecutore, penso a Bassi Maestro) Lazza è al 100% rap. Quindi: perché non è così assurdo definirlo iconoclasta?
In un’intervista che abbiamo realizzato proprio per questo disco, mi sono complimentato con lui per essere riuscito a dare un’immagine ancora inedita di sé nel disco, unendo la nuova scuola e la «vecchia», con nomi tipo Fibra, Luché e Gué Pequeno che si alternano a Tedua e IZI. Eppure, è strano che un ragazzo di 25 anni, che canonicamente dovrebbe far parte della nuova scuola, funga da collante.
In un rap che oggi mette la melodia al primo posto, infatti, Lazza riesce a distruggere «un’icona» che oggi è fin troppo ricorrente e che suona uno slogan quasi politico: prima la melodia. Un ragazzo che si avvicina oggi al rap si avvicina al genere più popolare d’Italia, non ha nulla da costruire, né un senso di appartenenza, è musica, è melodia, è intrattenimento ed esercizio di stile. E questa cosa va benissimo.
Quella del rap, però, rimane pur sempre una tradizione di parola, che non vuol dire essere un professore e scambiare il microfono per cattedra o pulpito, ma vuol dire saper stupire con l’uso della parola chi ti ascolta. Ecco, se Bartezzaghi si mettesse a scrivere testi rap forse sarei felice.
Netflix lo dimostra, ma non è l’unico caso, in Lazza abbiamo trovato la perfetta sintesi per far sì che melodia e parola non sembrino nemici, ma che possano risultare alle orecchie di chi è più giovane, due amici di lunga data che possono andare a braccetto.
E l’essere iconoclasta di Lazza si evince persino dal suo prendere i normali simboli del bragging – in italiano l’atto di vantarsi – del genere e renderli carta straccia. La titletrack, per esempio, parte con «Faremo un pic-nic sulla mia camicia Burberry», che oltre a essere un intelligente gioco con la trama del famoso marchio è anche l’annullamento del bene materiale in favore del bene dell’io, inteso come anima – che ci crediate o meno. E lo fa mantenendo un registro molto basso, popolare, come ci ricorda qualche barra dopo «Mi auguro che tua madre ti libera / Sbaglio i congiuntivi, ho la licenza poetica», dove la poesia, di nuovo, da essere uno status «alto» diventa qualcosa che si può incontrare nella nefandezza della strada.
In tutto questo, però, Lazza distrugge senza dimenticare: sono numerose le citazioni a L’Odio, vero mantra della cultura e narrativa Hip Hop, ma numerose anche le citazioni alla cultura italiana, riprendendo ancora una volta un famoso cliché rap del «se fossi nato in America…»: «Io non mi sento italiano / Ma per fortuna o purtroppo lo sono come Gaber (ehi)».
In definitiva Re Mida è un prodotto pop, sia nella concezione di famoso che di popolare come del popolo, perché non perde gli stilemi che hanno fatto sì che Lazza prima si innamorasse di questo gioco e poi diventasse lo Zzala che tutti conosciamo, dal primo disco fino al secondogenito che, se lo consacrasse, non sarebbe una sorpresa. Senza essere vittima dell’hype, come denuncia in Box Logo, Jacopo ci mette addosso una sincera curiosità di come verrà gestito e recepito un prodotto potenzialmente così potente.
Un bel percorso di maturità, che mostra l’evoluzione di un personaggio genuinamente zarro, che dapprima ci aveva consegnato un disco compatto e poco vario e oggi invece ci presenta una palette di colori ampissima. D’altronde, che la melodia la sappia usare al meglio chi conosce a menadito i tasti di un pianoforte, può stupire solo chi non conosce Lazza appieno, e c’è sempre tempo per rimediare.