«Vitalità e apertura» sono le nuove parole d’ordine dell’Accademia di Verscio che sta moltiplicando le occasioni per alimentare l’interesse degli allievi verso nuove frontiere della conoscenza, portandoli a vedere spettacoli di pregio e «diversi», facendo loro conoscere da vicino personaggi di spessore teatrale internazionale. Ospite per un workshop con gli studenti di Master, l’attore e regista Serge Nicolaï si è pertanto recentemente proposto alla curiosità di una numerosa platea prevalentemente costituita da giovani.
Nato a Marsiglia ma di origini corse, il cinquantenne Nicolaï da 20 è membro della leggendaria compagnia del Théâtre du Soleil diretta da Ariane Mnouchkine con cui ha partecipato all’allestimento delle sue maggiori produzioni: non solo in veste di attore ma anche in quella di scenografo. Il pubblico del grande schermo lo ricorderà anche per aver partecipato al Festival di Locarno nel 2015 con il film Olmo et la Mouette (Premio Giuria dei giovani), una docufiction di Petra Costa e Lea Glob girata con Olivia Corsini, l’attrice italiana sua compagna nella vita e nell’arte. Averlo dunque a disposizione ha soddisfatto domande che hanno messo in rilievo la vita dell’artista in un tutt’uno con la dimensione teatrale.
Tutto parte dall’esperienza con la Mnouchkine alla Cartoucherie di Vincennes, «Quando ho fatto il mio primo stage con Ariane», ha ricordato Serge, «ho compreso tutta la sua grandezza e la sua forza». La leadership della regista è infatti una componente fondamentale per gestire la dinamica di una cooperativa creata nel 1964, dove la condivisione del lavoro, degli spazi e degli ideali ancora oggi sono parte integrante di un progetto totale basato sull’essenza rivoluzionaria del teatro.
Esplicitamente politico, possibilmente a soggetto storico, è un teatro che parte dal corpo, dalla sua rappresentazione e dalla sua narrazione. Accompagnato da immagini tratte dai film realizzati su alcuni fra i più significativi allestimenti (Le dernier Caravansérail, Les Ephémères, Macbeth…), Nicolaï si è soffermato sul metodo per la nascita dei personaggi fissati dopo decine di improvvisazioni e lunghe sperimentazioni collettive che poi diventano scene di spettacoli che possono durare anche otto ore. «Il tema del prossimo lavoro ci viene spesso comunicato il giorno dell’ultima replica. Poi ognuno andrà per la sua strada per alcuni mesi durante i quali Ariane ci spedisce suggerimenti sui quali documentarci». Nascono così spettacoli che hanno affascinato da Giorgio Strehler a Peter Brook, da Pina Bausch a Carolyn Carson…
«Sono lavori molto intensi», spiega ancora Serge, «delle avventure collettive dove tutti devono fare tutto. Riceviamo lo stesso stipendio (compreso quello di Ariane) e abbiamo pari diritti e doveri». Un’esperienza umana e artistica esemplare decisamente unica.
Pittura, musica e testi per clandestini
Per entrare in sintonia con l’arte di Nando Snozzi andiamo al suo «Athelier Attila» di Arbedo per quella che l’artista ha definito «una sincronia di segni, suoni, parole dentro i territori dichiarati appartenenti all’arte e alla musica». Basta per catturare il desiderio di sorpresa che avvolge il suo progetto. Quello a cui abbiamo assistito, dal titolo Ipotesi per un’utopia, è un’azione scenica parte di una trilogia iniziata nel 2010 con Ipotesi per un delirio, proseguita nel 2015 con Ipotesi per un destino e che verrà riunita e presentata al Teatro Sociale la prossima stagione.
Accompagnato dalle suggestive musiche di Matteo Mengoni, Snozzi legge sette componimenti letterari per due tempi: istantanee di vena surrealista, immagini di riflessioni esistenziali, «un teatro dei sensi della commedia umana» dove i sogni si mescolano a sensazioni, dove la parola diventa drammaturgia del mondo contemporaneo: «un selvaggio interlocutore mi aveva sollecitato a scegliere tra un’esistenza da gregario o una vita da Pirata oppure tra un’utopia sommersa e un’utopia salvata».
Si rinnova il rituale pittorico: la mano dell’artista intinta nei colori fa nascere sulla parete i volti della sua cifra espressiva. Rabbia e dolcezza dove la favola dell’io narrante è anche sorpresa e amore per l’universo femminile: «Lei cerca i canti della vita, cerca le danze del tempo, cerca la musica del cuore». Una performance intensa per due serate intime, in attesa del gran palco.