Last call, ovvero l’ultima chiamata

In scena Debutto a Zurigo della prima opera per il teatro scritta dal compositore svizzero Michael Pelzel
/ 22.07.2019
di Marinella Polli

Al contrario di certo sentire, l’opera lirica non è certo morta, anzi, attualmente conta composizioni di valore che, a prescindere dalla trama, raccontano l’uomo moderno con il linguaggio che di continuo si rinnova, tipico di oggi. Svecchiando il genere, le nuove composizioni affrontano anche temi di attualità e sono dunque fonte d’interesse per un pubblico nuovo. Benché a scadenze irregolari, l’Opernhaus sostiene il filone investendo anche nel non proprio commerciale settore dell’opera contemporanea.

Con l’ensemble Opera nova, giovani ed entusiasti musicisti della Philarmonia Zürich, è possibile allestire lavori di recente realizzazione. Quello di quest’anno è Last Call, la prima opera per il teatro di Michael Pelzel (classe 1978), su libretto di Dominik Riedo. Pelzel lo definisce semplicemente «Musiktheater», ma si tratta di una vera e propria opera da camera. Un’opera da camera contemporanea, dunque difficile e non per tutti i palati, che narra una storia distopica, sul genere della narrativa speculativa di Margaret Atwood, per intenderci, ma con l’ironia di un Christoph Marthaler e con certi aspetti grotteschi alla György Ligeti.

Denunciando una società ormai non più in grado di comunicare e che, distruggendo la natura e l’intero pianeta va inesorabilmente incontro alla catastrofe, compositore e librettista riflettono sul senso della vita all’insegna di digitalizzazione, megabyte e chips. Ma sono proprio gli Urchips a ribellarsi, annunciando però, via voce elettronica, possibili soluzioni che consentano di reagire per poter poi riavvolgere il nastro e ricominciare daccapo: fermare la rotazione della terra, emigrare sul pianeta Elpisonia, una volta avvenuta la distruzione totale, o darsi ad un bel megaparty.

Tant’è: l’evacuazione su Elpisonia si conclude, tutti hanno ormai lasciato la terra, tutti tranne due che si ritrovano a dover comunicare per forza tra loro: Sulamit Hahnemann (Annette Schönmüller) e Johnny (Christina Daletska). E quando l’ultima nave spaziale ritorna, i due non riescono a decidere di partire, né a capire se farebbero meglio o no a restare; quasi un dubbio amletico per loro, e per gli spettatori. Last call, varata alla fine di giugno alla Studiobühne dell’Opernhaus, è un’opera audace anche vocalmente; la prestazione dei sei cantanti è mozzafiato, anche se atonale e sul linguaggio onomatopeico di Riedo.

Oltre ai due strepitosi interpreti citati, ricordiamo i bravi Ruben Drole nel ruolo di Urguru, Alina Adamski in quello dell’influencer Trendy-Sandy-Mandy, Thomas Erlank, quale Harald Gottwitz, Jungrae Noah Kim quale Karitzoklex. La partitura è una geometria di reminiscenze contemporanee come fruscii, colpi di gong, rumori industriali generati anche dagli strumenti e considerati suoni, esattamente come le parole che assumono qui un colore proprio.

Un’alchimia timbrica che amplia lo spazio acustico, creando una nuova dimensione. Jonathan Stockhammer guida i dotatissimi membri dell’Opera Nova: violino, viola, due violoncelli, contrabbasso, percussioni, due pianoforti, celesta, Glasharmonica.L’occhio ha altresì la sua parte, grazie alla dinamica regia di Chris Kondek, alle scene di Sonja Füsti, ai costumi di Julia von Leliwa e, soprattutto, ai video di Ruth Stofer che, evidenziando momenti non raccontati a parole, fanno quasi da personaggio. Il tutto per ottanta minuti e con un pubblico coinvolto che si diverte anche. Peccato che il debutto di Last Call avvenga a fine stagione. Repliche la stagione prossima.