Dev’essere noioso, caso mai davvero esistesse qualcosa dopo la morte, essere Tupac. Se davvero il paradiso è una sorta di sala monitor in cui ognuno controlla ciò che fanno gli esseri umani a lui più cari o quelli che di lui parlano, in questi giorni Tupac si sta facendo delle grandi risate, implorando San Pietro di rispedirlo in quest’epoca fatta di social media e invettive di 15 secondi.
«Tupac e Biggie si sparavano, mica si facevano le Instagram Stories». Questo è il commento più gettonato nello screzio tra Luché e Salmo. Il secondo reo di essersi dichiarato «il migliore» in un modo un po’ arrogante, il primo di aver attaccato il collega solo via social network e non su una base.
Si disseranno – ovvero si attaccheranno – attraverso la propria musica, con parole piene di rancore, come più o meno recentemente è successo con Fibra e Vacca, o continueranno a infangare la memoria di Tupac parlando di rap attraverso quello strumento del diavolo che i più conoscono come Instagram?
Non so sfortunatamente quello che accadrà, chi attaccherà per primo chi o se questa storia alla fine è terminata, nonostante gli screzi nei dj set e la voglia di sangue del fan medio, ma rimane il fatto che se Tupac oggi avesse Instagram, be’, attaccherebbe Biggie attraverso le storie. Più storie di quelle di Salmo, più storie di quelle di Luché.
Essere un rapper spesso significa essere impulsivi. Quale soddisfazione migliore di avere a disposizione un pulpito sul mondo in un nano secondo che ti permette di inveire su chiunque e dire la tua senza contraddittorio – e senza la fatica di dover rispettare metrica e rime? Quale soddisfazione migliore di poter dire un giorno di aver annientato l’avversario senza neanche lo sforzo di recarsi in studio?
Ovviamente la musica sarebbe arrivata, ma le punzecchiate sulla musica, sui live, sulla presunta conoscenza o meno delle canzoni altrui sarebbero rimaste, nei secoli dei secoli.
Così non è ridicolo che i rapper si seggano in prima fila alla sfilata di Moschino, del resto basti pensare che Tupac Shakur venne qui da noi proprio per sfilare alla settimana della moda milanese del ’95, su invito di Versace. Non è ridicolo che i rapper si insultino al telefono: un tempo lo facevano con la cornetta, oggi lo fanno con i mezzi di oggi.
Quindi sì, se davvero Tupac fosse in quella sala monitor, be’, riderebbe di chi lo difende o lo erge a esempio e si metterebbe a fare una bella storia su Paradistagram, per insultare Biggie o chi per lui – oggi forse Kanye, A$ap e così via.
Ah, essendo cremato, il nostro non si può neanche metaforicamente rivoltare nella tomba. Lasciatelo in pace, grazie.