Dove e quando

Jean-Jacques Lebel. L’outrepasseur. A cura di Nicolas Liucci-Goutnikov. Parigi, Centre Pompidou. Fino al 3 settembre. Catalogo éditions Dilecta, euro 35.–. www.centrepompidou.fr


L’artista della trasversalità

Jean-Jacques Lebel al Centre Pompidou di Parigi
/ 09.07.2018
di Gianluigi Bellei

Il Centre Pompidou di Parigi dedica una mostra a Jean-Jacques Lebel. Nome forse poco conosciuto nel panorama dell’arte anche se particolarmente importante. Ma chi è Jean-Jacques Lebel? Partiamo da un dato di cronaca. Quest’anno ricorre l’anniversario del Sessantotto. Moltissimi ne parlano male e con rancore; pochissimi lo rammentano con nostalgia. Quello che è certo è che le istanze sociali e libertarie di quegli anni non hanno dato i loro frutti. O se li hanno dati (in dose infinitesimale) oggi contano veramente poco, sia in Europa che in America. Per tacere di quello che succede altrove.

Cosa centra tutto questo con la nostra storia? È presto detto. L’icona del ’68, e qui parliamo del maggio francese, ovvero la Marianna dell’anno, è una modella inglese di nobili origini immortalata nell’immagine culto del periodo: seduta sulle spalle di qualcuno che sventola la bandiera del Vietnam durante una manifestazione studentesca. La bellissima ragazza dagli occhi chiari e dai capelli sbarazzini si chiama Caroline de Bendern. Fa la mannequin e la modella per pittori. Siamo in place Denfert Rochereau il 13 maggio 1968 e Carolina durante la manifestazione ha male ai piedi. Un suo amico la mette sulle spalle. Altri le consegnano la bandiera. Il fotografo Jean-Pierre Rey immortala la scena che farà il giro del mondo. Ma chi la porta sulle spalle? Si parla sempre solo di lei e del fotografo. Un altro scatto, dal basso, mostra un ragazzo barbuto, non proprio magro e con l’aria da guascone: Jean-Jacques Lebel.

Un artista che, scrive, preferisce «l’utopia aperta all’utopia chiusa, preventivamente definita da intenzioni dogmatiche e da una precisione che si pretende scientifica». In altre parole un anarchico che vuole abbandonare il «Beaubourg al Ministero del turismo, così come la Tour Eiffel e il Sacré-Coeur per costituire unità di produzione e diffusione, sia fisse che mobili, tribù nomadi di creatori e di creatrici capaci di trasversalizzare le arti e le tecniche, di produrre situazioni nuove, di creare scambi e relazioni di diversi tipi».

Nella breve intervista pubblicata su «Code Couleur» numero 31 – il magazine del Centre Pompidou – a cura di Nicolas Liucci-Goutnikov, commissario dell’esposizione e conservatore al Musée national d’art moderne, Lebel dice che i suoi happening si sono svolti contro l’ordine morale, contro la dittatura del mercato, contro l’autocensura in materia di sesso e politica.

Il percorso espositivo inizia con un collage del 1956 dedicato ad André Breton e Guillame Apollinaire che gli permette di utilizzare il metodo di esplorazione dell’inconscio. Sempre sulle tracce del Surrealismo lavora con la grafite con il metodo dell’automatismo. Nel 1955 si stabilisce a Firenze pubblica il giornale formato affiche «Front Unique» e sollecita a collaborare artisti come Benjamin Peret, André Breton, Gregory Corso, Gérard Legrand, Matta. Negli ultimi due numeri, pubblicati con il gallerista Arturo Schwarz, adotta il formato magazine. La rivista si afferma come una vetrina contro la guerra d’Algeria. Nel 1960 i militari francesi torturano la giovane militante del FLN Djamila Boupacha. Jean-Jacques Lebel invita Enrico Baj, Antonio Recalcati, Erró, Roberto Crippa e Gianni Dova a realizzare insieme un dipinto che stigmatizzi l’avvenimento. Nasce così il Grand Tableau Antifasciste Collectif esposto a Milano nel 1961 durante Anti-Procès 3. Il dipinto verrà poi sequestrato dalla polizia.

Nel 1959 a New York Allan Kaprow inventa l’happening. Lebel assiste a questa nuova forma d’arte e nel 1960 realizza il primo happening europeo. La concomitanza di due avvenimenti, la guerra d’Algeria e l’assassinio di un’amica a Los Angeles, portano Lebel a realizzare L’Enterrement de la Chose. Siamo a Venezia all’esposizione Anti-Procès 2 alla quale partecipano una cinquantina di artisti internazionali contrari alla guerra d’Algeria e Lebel spedisce un invito con scritto «Spleen de rigueur». Fra i partecipanti al Morgue’s party i giornalisti presenti notano Charles Briggs, eminente cittadino americano, Paolo Barozzi il delicatissimo play-boy, Patsy Morgan una delle dieci maggiori bellezze del Regno Unito e naturalmente Peggy Guggenheim chiamata Clorinda. L’happening consiste in una scultura metallica di Jean Tinguely deposta dentro una bara ricoperta da un drappo di Mariano Fortuny, accompagnata da letture di Huysmans e de Sade, portata in giro per Venezia in gondola e poi gettata in acqua.

Oltre al marchese de Sade, Lebel ha come referente filosofico Friedrich Nietzsche al quale dedica un assemblaggio sonoro di ispirazione Dada in ricordo della sua gioventù quando sul muro del liceo scrive «Dio è morto». Ma la critica è rivolta anche contro il movimento hippie con il suo pacifismo e il consumismo psichedelico. Nel 1967 organizza per questo un happening, con la partecipazione del gruppo rock Soft Machine, durante il quale un centinaio di uomini e donne, completamente nudi, ne fanno la parodia sotto l’influenza di diverse sostanze. Un happening naturista intitolato Sun Love. La mostra termina con le opere dedicate a Christine Keeler, affascinante spogliarellista, protagonista de «l’affaire Profumo», segretario di Stato per la guerra della Gran Bretagna che si innamora di lei costringendolo alle dimissioni. Per Lebel la Keeler rappresenta il desiderio e il simbolo della trasgressione sociale come le opere erotiche di Félicien Rops.

Guascone, dicevamo, estremo, dissacratore, anarchico, Jean-Jacques Lebel è l’artista della trasversalità, secondo il suo amico Félix Guattari, ma anche il personaggio che meglio incarna, o ha incarnato, l’intreccio fra creazione artistica e attività politica.

Intensa esposizione con una cinquantina di lavori, del primo periodo, tra video, dipinti, disegni, collage. Per tutta la durata della mostra, poi, al Cinéma du Musée in programma una serie di film e video integrativi.