È molto complessa la relazione che intercorre tra uomo e natura: oggi più che mai è un rapporto fatto di lotte e di contatti, di conflitti e di ricongiungimenti, in un continuo susseguirsi di atti prevaricatori e difensivi. Se da una parte, infatti, l’essere umano, consapevole dell’impossibilità di scindere le proprie radici dall’ecosistema, cerca di recuperare il profondo legame con esso, dall’altra non sa rinunciare a sottometterlo per plasmarlo a suo piacimento, nella stolta convinzione di migliorare la qualità della propria esistenza. Forza generatrice e fonte di vita, la natura, dal canto suo, si trova a dover proteggersi strenuamente dall’uso sconsiderato e spesso distruttivo delle sue risorse perpetrato dall’umanità.
Che cosa può fare l’arte per questo irrequieto e fragile vincolo? Da sempre, si sa, essa è un mezzo privilegiato per stimolare il pensiero, per scuotere gli animi e condurre a riflettere. L’arte solleva quesiti, esorta dibattiti. È da questa persuasione che prende vita la rassegna ArteRivaMaroggia intitolata Mutazioni – In difesa della natura, un progetto espositivo triennale, arrivato alla sua seconda edizione, che dipana il proprio percorso nel piccolo paese lacustre, coinvolgendo le stradine del centro abitato e le rive del Ceresio, la battigia e il molo, le sponde del fiume Mara e il vecchio mulino. Privo di istituzioni museali, il borgo di Maroggia sfrutta così il suo potenziale naturalistico, divenendo una galleria d’arte a cielo aperto in cui la tematica uomo-ambiente esplorata dalle opere esposte viene rafforzata dal contesto in cui queste sono presentate.
Attraverso linguaggi spesso molto distanti tra loro, i ventidue artisti invitati a partecipare alla mostra (provenienti non solo dal Ticino ma anche dal resto della Svizzera e dall’estero) hanno dato ciascuno una personale interpretazione delle problematiche relative alla natura, partendo dalla convinzione unanimemente condivisa che l’arte possa, anzi debba, oltrepassare il mero concetto di bellezza per porsi, grazie alla piena libertà d’azione che la contraddistingue, quale persuasivo strumento per far riconoscere e comprendere gli autentici valori dell’esistenza umana.
D’altra parte è proprio dalla ribellione a una visione per cui l’arte non dovrebbe incidere sui casi del mondo, rintanata nel proprio spazio di autonomia, che si è sviluppata a partire dalla fine degli anni Cinquanta l’arte ambientale, corrente che racchiude in sé esperienze eterogenee ma che, nelle sperimentazioni centrate in particolare sulla natura, ha avuto origine dalla coscienza dei pericoli a cui lo sviluppo industriale e il dissennato operare umano stavano esponendo il pianeta. Una nuova consapevolezza ecologica metteva così in primo piano la capacità di empatizzare con l’ecosistema riconoscendo all’arte un ruolo determinante nell’accrescere la coscienza critica ambientalista.
Nel percorso di Maroggia, le sculture, le installazioni e i lavori fotografici mostrano i differenti approcci degli artisti al tema del fragile equilibrio tra uomo e natura: c’è chi ha meditato sulle dinamiche di questa costante controversia in maniera ironica, chi attraverso un piglio dissacrante, chi con un atteggiamento di denuncia e chi, ancora, volgendo uno sguardo nostalgico a un mondo lontano più in sintonia con il creato.
Sicuramente ludico è il linguaggio espressivo di Ivan Artucovich, caricaturista e vignettista nato a Los Angeles e svizzero d’adozione, che con la sua colorata opera in ferro dal titolo Back to Nature auspica un divertito ritorno alla dimensione naturalistica: un uomo e una donna, nudi e straripanti di felicità, si disfano degli inutili orpelli che appartengono alla loro quotidianità e fuggono da una vita artificiosa per immergersi nelle amenità paesaggistiche.
Interessante per la profonda ricerca di un’armoniosa unione con l’ambiente è il lavoro del luganese Lorenzo Cambin, uno Spazio realizzato per dialogare con la natura entrando in stretto contatto con le sue forze dinamiche. È difatti il vento che muove gli «alberi» in tessuto verde dell’artista facendoli divenire parte stessa del creato, come se nel loro dinamismo riuscissero a penetrare la natura circostante per rintracciarne le origini.
Venata da una visione struggente del rapporto tra uomo e ambiente mediato dall’arte è l’opera Vecchio mondo dell’artista polacca Tamara Bialecka, in cui gli echi di un passato percepito nella sua bellezza irripetibile si fondono con le tracce di un presente inquietante: nelle serigrafie depositate su una struttura sferica di metallo appaiono incisioni rupestri, dipinti rinascimentali, bombe atomiche, onde e grattacieli, a raccontare il lento deviare dell’essere umano dal suo habitat naturale.
Tra i lavori che si incontrano lungo il percorso lacustre, degni di nota per la delicatezza con cui si inseriscono nel paesaggio sono i Giardini minerali e i Fiori megafoni della ceramista Myriam Maier, la cui indagine artistica vive di un legame con l’ambiente finalizzato a carpirne i segreti più reconditi. La sua arte, che parte dalla terra, si lascia ispirare dalle forme e dai colori degli elementi della natura per poi cristallizzarli in opere a loro somiglianti.
«Ogni cosa che puoi immaginare», diceva Albert Einstein, «la natura l’ha già creata», ma l’arte può aiutarci a ricordare quanto ogni dettaglio dell’universo sia prezioso.