**(*) Final Portrait, – L’arte di essere amici, di Stanley Tucci, con Geoffrey Rush, Armie Hammer, Tony Shalhoub (Gran Bretagna 2017)
Legato ad Alberto Giacometti da lunga amicizia, il critico d’arte americano James Lord accetta negli Anni Sessanta di posare. Due personalità forti: così il confronto arrischia ad ogni istante, più che di esplodere, di protrarsi all’infinito. Semiserio ma rispettoso, uno sguardo sul grande scultore-pittore svizzero; l’arte, per lui, consisteva nel fatto di rappresentare un atto inadempibile. Basato sul diario annotato da Lord durante i diciotto giorni del suo soggiorno nell’atelier parigino, Final Portrait sorprende. Costretto nel claustrofobico labirinto mentale, non cade nei tranelli della situazione. Gioca, quasi si diverte; cresce, scommettendo su quella impossibilità del concludere avanzando.
Stracciare e ricominciare, Geoffrey Rush è bravissimo in quell’aspetto del processo creativo; ingobbito, la sigaretta che gli penzola dalle labbra, la pettinatura arruffata, l’andatura trascinata. Non cade mai cadere ripetitività, pur sottolineando gli sguardi furtivi, i minimi riflessi. Tutte le esitazioni che traducono mirabilmente e con emozione il tema eterno, notoriamente irrisolto, dell’inaccessibilità dell’oggetto artistico.
* Ore 15.17 – Attacco al treno (The 15.17 to Paris), di Clint Eastwood con Anthony Sadler, Alek Skarlatos, Spencer Stone, Jenna Fischer (Stati Uniti 2017)
La vicenda è nota. Nel Thalys, il treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi, il 21 agosto 2015 si sfiorò la tragedia. Tre giovani americani riuscirono coraggiosamente a evitare una strage, neutralizzando un terrorista belga-marocchino carico di armi e munizioni.
Clint Eastwood, il grande vecchio ottantasettenne del cinema americano, desiderava concludere la sua trilogia sull’eroismo iniziata nel 2014 con American Sniper, il cecchino che protesse in Iraq l’avanzata dei marines uccidendo più di 200 persone; e proseguita due anni dopo con Sully, dove Tom Hanks portava in salvo, planando sull’Hudson, i 155 passeggeri del-l’Airbus.
L’azione in Attacco al treno dura un quarto d’ora: troppo poco per un lungometraggio. Eastwood ha tentato di ovviare, concentrandosi sui veri protagonisti, risalendo alle loro motivazioni, a un’adolescenza da allievi mediocri e da appassionati di giochi bellici. La sceneggiatura li ritroverà alla vigilia del viaggio in Europa che finirà dove sappiamo. Ma attraverso un itinerario d’incomprensibile sciattezza; a colpi di selfie, Roma e il Colosseo, la terrazza del Gritti sul Canal Grande, le bionde di Amsterdam in discoteca. Clint rimane l’erede di tutto un cinema; Attacco al treno un film imbarazzante.