Dove e quando
Landless, fotografie di Davide Vignati, Lugano, Centro Past. S. Giuseppe (Via Cantonale 2a, suonare il campanello). Fino al 20 ottobre 2019. www.festivaldirittiumani.ch


L'archivio della disperazione

Il Festival dei diritti umani presenta un progetto fotografico di Davide Vignati
/ 07.10.2019
di Ida Moresco

Senza casa. Senza terra. Senza un posto a cui tornare: se i protagonisti delle fotografie di Landless, mostra realizzata nell’ambito del Film Festival dei diritti umani, potessero parlare, il loro racconto sarebbe drammaticamente sempre lo stesso. A consegnarci questa testimonianza di disperazione, frutto di esperienze in Africa, Asia e Medio Oriente, è Davide Vignati, attivo da oltre quindici anni nel campo dei diritti umani e dell’aiuto umanitario, attualmente impiegato alla Direzione dello sviluppo e della cooperazione svizzera. Come spiega Vignati, Landless non è solo una mostra fotografica, ma un progetto di più ampio respiro, destinato a toccare numerose tappe (prossimamente si sposterà a Ginevra e poi a Varese) per le quali saranno selezionate di volta in volta delle fotografie diverse. Abbiamo chiesto a Vignati quali due foto sceglierebbe fra quelle esposte fino al 20 ottobre a Lugano.

Il soldato che dorme
«Questa fotografia è stata scattata nel 2016 a Mambij, nel nord della Siria, vicino al confine con la Turchia. È una delle poche che ho fatto in ambito non umanitario, avevo infatti preso un congedo per realizzare un documentario sulla Siria. I guerriglieri curdi siriani con cui mi trovavo stavano cercando di fare retrocedere l’Isis, in quel momento ancora forte. Avevano paura, e allora cercavano di farsi coraggio l’uno con l’altro e ballavano intorno al fuoco.

Se si guarda bene il volto del combattente, si ha quasi l’impressione che stia sorridendo, oppure sognando, ed è una situazione paradossale, perché dall’altra parte del muretto ai cui piedi sta dormendo, c’è il fronte con gli sniper dell’Isis. Noi stavamo accovacciati, era pericoloso, ma il fatto che il combattente trovasse il sonno, e forse facesse anche dei sogni felici, mi ha mostrato che la guerra non l’aveva disumanizzato. Era un essere umano come tutti».

Una madre e due bambini
«L’immagine risale al 2006, ed è stata fatta nel sud est del Congo, dove mi trovavo con il Comitato internazionale della Croce Rossa. C’erano dei problemi a causa del gruppo armato dei Mai-Mai, che vive di commerci illegali e avanza rivendicazioni territoriali. Come succede spesso ai gruppi che vogliono l’indipendenza, alla fine si è trasformato in un gruppo criminale. La famiglia ritratta in fotografia è sopravvissuta a un raid dei Mai-Mai, ancora oggi un flagello per quest’area del Congo. La foto mi piace perché sembra un quadro del Mantegna. La donna sta spidocchiando un bambino mentre l’altro piange disperato, accanto a loro c’è un secchio vuoto: un’immagine di grande povertà e desolazione.

Rispetto a quella precedente, questa foto non trasmette alcuna speranza, e purtroppo rispecchia ancora la situazione del Congo, dove in questi tredici anni non è cambiato nulla, anzi. Se pensiamo all’Isis invece, ne abbiamo visto la sconfitta. In virtù del mio lavoro mi ritrovo quasi sempre a ridosso dei conflitti, quindi queste fotografie sono state scattate durante dei momenti di pausa, prima o dopo una crisi bellica. Il mio desiderio è che attraverso le fotografie in mostra qualcuno si interessi a questo lavoro, poiché sempre meno gente desidera fare l’operatore umanitario».