Come detto da Greg Zglinski stesso, la multiculturalità che lo contraddistingue (è nato in Polonia ma cresciuto in Svizzera) gli regala una preziosa libertà che lo trasforma in narratore di storie universali. Storie che parlano ad ognuno di noi al di là delle nostre presunte differenze.
A partire dal magnifico Tout un hiver sans feu del 2004, che riscosse un immenso successo di pubblico e critica (Premio Cinemavvenire e Grand Prix Signis per il miglior film alla Mostra di Venezia nonché Miglior film al Premio del cinema svizzero 2005), Greg Zglinski non smette di mettere a nudo la sensibilità dei suoi personaggi che evolvono sullo schermo come ballerini su una scena, parlando non solo attraverso le parole ma anche e soprattutto attraverso i loro corpi, ricettacoli di una sensibilità impossibile da arginare.
Il suo ultimo film, Animals, presentato quest’anno alla prestigiosa Berlinale nella sezione Forum, non fa di certo eccezione, anzi, da questo punto di vista sembra spingersi ancora più in là, oltre la realtà sensibile fino a sfiorare l’astrazione. Animals trasforma i sentimenti dei suoi protagonisti in colori, impalpabili ma estremamente vividi. Quello che però non tutti sanno è che dietro l’intrigante storia raccontata nel film si nasconde un altro geniale regista: l’austriaco Jörg Kalt, suicidatosi prima di portare a termine il progetto che è rimasto allo stadio embrionale di sceneggiatura. Affascinato da questa storia tanto atipica quanto universale, Greg Zglinski decide di dare vita al film sul quale plana immancabilmente il fantasma di Kalt. Alla luce del suicidio del regista e giornalista austriaco, Animals, che parla fatalmente dei limiti della percezione umana e dell’onda d’urto che le nostre emozioni espandono ben al di là del mondo palpabile che ci attornia, brilla di una luce ancora più misteriosa.
L’ultimo film di Zglinski racconta una storia d’amore, quella fra Anna e Nick, che slitta progressivamente verso dimensioni parallele mettendo in dubbio le certezze di ognuno e facendo risuonare le voci dei protagonisti come echi lontani. E se l’amore fosse davvero la chiave di lettura di un mondo ben più vasto rispetto a quello che i nostri sensi percepiscono? Come una sonnambula Anna si lascia guidare da una forza sconosciuta che prende tanto le sembianze di un pesce rosso scarlatto quanto quelle di un agnello sacrificale, di un uccellino disorientato o di un gatto che parla. Uno stato di grazia spaventoso e allo stesso tempo sublime.
Greg Zglinski, come è nata la sua passione per il cinema e quali sono le sue referenze cinematografiche?
Il cinema mi accompagna sin dall’infanzia. Adoravo andarci con la mia baby-sitter ed era un’attività che preferivo di gran lunga all’asilo. Mi piaceva anche molto guardare Zorro alla televisione. Detto questo il mio film «iniziatico» è stato L’impero colpisce ancora (Star Wars: episodio V). Dopo averlo visto ho sentito il bisogno di scoprire come è fatto un film. Ho letto tutto quello che ho trovato sul soggetto e ho cominciato a girare dei piccoli film Super 8.
In che modo le sue origini – polacche e svizzere – influenzano la sua sensibilità di cineasta?
La mia esperienza multiculturale mi aiuta sicuramente a mantenere una certa distanza rispetto alle altre culture. Questo mi permette di raccontare delle storie più universali. Le differenti lingue usate nei miei film non hanno, secondo me, una grande importanza, perché i miei film sono fatti innanzitutto d’immagini e situazioni. Per quanto mi riguarda i dialoghi sono elementi aggiuntivi alla narrazione.
Come è nata l’idea di dare vita all’ultimo script di Jörg Kalt? Possiamo parlare di un film realizzato in binomio o piuttosto di un adattamento libero?
Sono entrato in contatto per la prima volta con la sceneggiatura originale di Animals nel 2007 mentre mi trovavo a Zurigo come membro della commissione della Zürcher Filmstiftung. Siamo rimasti tutti affascinati dall’originalità della costruzione del film. Poco dopo ho saputo che Jörg era morto e ne sono rimasto scioccato. Da allora la storia non mi ha più abbandonato e quando con Stefan Jäger, produttore di Animals, abbiamo deciso di fare un film insieme, gli ho subito chiesto se credeva fosse possibile dare vita a questa sceneggiatura.
Animals sembra sezionare all’infinito la nostra realtà sensibile spingendoci a vedere i limiti della nostra percezione. Allo stesso tempo il film non si trasforma mai in pura astrazione e resta sempre legato a una narrazione di certo «fantastica» ma ciò nonostante verosimile. Come è riuscito a destreggiarsi tra questi due aspetti, sperimentazione e narrazione?
La sceneggiatura originale era più formale, più sperimentale. L’ho riscritta insistendo maggiormente sulla psicologia dei personaggi e sviluppando le relazioni fra i protagonisti. Se il pubblico perde la logica narrativa allora non deve perdersi in quella delle emozioni. Dal mio punto di vista le emozioni devono essere sempre comprensibili, altrimenti si corre il rischio di perdere lo spettatore, la sua attenzione.
Cosa vuole raccontarci attraverso il complesso gioco di specchi che compone il film?
Penso che il nostro mondo sia molto più vasto di quello che percepiamo, non solo in senso fisico ma anche metafisico. I nostri cinque sensi sono molto limitanti. La nostra esistenza materiale non ci dà accesso che a una piccola porzione di realtà. Il film cerca di superare questi limiti.
La componente coreografica è molto presente nel film dove i corpi, così come i colori e la luce, hanno significati molteplici. Come ha lavorato sulla scenografia?
Abbiamo studiato la concezione visiva in funzione della progressione della storia e dell’atmosfera che volevamo creare. I miei collaboratori sono stati straordinari: l’operatore alla macchina Piotr Jaxa è molto sensibile ai colori e alla luce e Gerald Damovsky, scenografo oggi scomparso, mi ha suggerito molte soluzioni formidabili.
Come avete scelto i tre attori principali: Birgit Minichmayr, Philipp Hochmair e Mona Petri?
Birgit e Philipp mi sono stati proposti dalla direttrice di casting a Vienna, Lisa Olah. Appena li ho visti ho saputo che sarebbero stati i candidati ideali per il ruolo. Ero felicissimo quando hanno accettato. Per Mona è stato diverso, volevo lavorare con lei da molto tempo ma nella sceneggiatura il suo personaggio era più giovane. Improvvisamente mi sono detto: ma perché? Non no trovato un motivo valido per non sceglierla malgrado tutto, e questo ha dato il via alla nostra collaborazione.