Dove e quando
Kerouac. Beat Painting. Museo MAGA, Gallarate. Fino al 22 aprile 2018. Orari: da ma a ve 10.00-13.00/14.30-18.30, sa e do 11.00-19.00, lu chiuso. www.museomaga.it

Jack Kerouac, Raven, N.D., olio su tela, 29x23 cm


L’altro Kerouac

Al MAGA di Gallarate l’opera pittorica del padre della Beat Generation
/ 09.04.2018
di Alessia Brughera

Alla fine degli anni Quaranta i valori della società puritana statunitense vengono scossi dal movimento culturale più eversivo del Novecento: la Beat Generation. Innamorati della libertà e mossi da un totale rifiuto delle regole imposte dal perbenismo, i giovani Beat sfidano le vecchie forme sociali all’insegna di «un’esuberanza senza requie» (per usare le emblematiche parole del poeta John Clellon Holmes nell’articolo apparso nel 1952 sul «New York Times») che li porta a diffondere una nuova etica a carattere spontaneista dominata da una profonda ricerca intima. Una ricerca che passa attraverso l’uso smodato dell’alcol, la sperimentazione delle droghe, la sessualità libera e l’interesse per le religioni orientali, mezzi con cui esplicitano il bisogno di contestare gli schemi spersonalizzanti della collettività per far emergere la loro spiritualità prorompente.

Insieme a William Burroughs, Allen Ginsberg, Lucien Carr, Gregory Corso, Neal Cassady, Lawrence Ferlinghetti, Norman Mailer e Gary Snyder, a segnare la storia, non solo letteraria, degli Stati Uniti figura Jack Kerouac, considerato il padre di questa generazione di assetati di sogni e speranze. Il suo romanzo di culto On The Road, scritto di getto su un rotolo di carta lungo più di trenta metri, descrive alla perfezione l’esistenza della gioventù Beat e la loro visione del mondo indocile e spregiudicata. Pubblicato nel 1957, il libro racconta di epici viaggi in automobile per tutto il continente americano mescolando visioni di paesaggi desolati e la passione per una vita irrequieta e brutalmente romantica.

Se con i suoi lavori narrativi Kerouac ha segnato un’intera epoca guadagnandosi con essi imperitura notorietà, pochi sanno che è stato anche un grande amante dell’arte. Non ha nemmeno dieci anni quando realizza il suo primo autoritratto e non fa mistero dell’ardente desiderio di diventare un artista. Quando muore, nel 1969, lascia un’enorme quantità di quadri, disegni e schizzi. «Dipingo solo belle cose» dichiara Kerouac. «Uso vernici da pareti e colla, uso il pennello e le punte delle dita. In pochi anni potrei diventare un pittore di primo piano. Se lo voglio. E quando potrò vendere i miei dipinti potrò comperarmi un pianoforte e comporre musica. Perché la vita è una noia». Persino per On The Road la parte artistica ha avuto una sorta di sopravvento, almeno temporale, su quella letteraria, con la copertina disegnata ancor prima della fine della stesura del testo.

Lo stile immediato che contraddistingue i libri di Kerouac si ritrova anche nelle sue opere pittoriche, come se penna e pennello si muovessero all’unisono a fissare, l’una sulla pagina bianca, l’altro sulla tela, spazi di vita vissuta capaci di consegnarci un senso di libertà infinito. Quel «flusso di coscienza» reinventato da Kerouac per i suoi romanzi sembra così riflettersi anche nell’arte, con un linguaggio istintivo e potente debitore soprattutto della pittura informale e dei maestri della scuola di New York, che negli anni Cinquanta aprono la strada a un impiego rivoluzionario del segno, del gesto e del colore.

Lo testimonia bene la mostra allestita negli spazi del MAGA di Gallarate. Pur essendo suddivisa in sezioni tematiche, la rassegna è una sorta di viaggio nell’universo intricato e fecondo di Kerouac, concepita per far emergere come questo grande scrittore/artista sia riuscito a far confluire in un’unica corrente creativa i molteplici ambiti da lui esplorati. In Kerouac vita e poetica si fondono senza limiti e confini, avida l’una dell’altra.

Il nucleo della mostra è costituito da un’ottantina di dipinti e disegni realizzati tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, sinora presentati al pubblico solo da pochi musei al mondo. Da Lowell, in Massachusetts, dove sono rimaste per decenni, queste opere ci aiutano a comprendere meglio la labirintica mente di Kerouac, ampliando la percezione del lavoro di un autore troppo spesso costretto nel ruolo di scrittore di On The Road.

I ritratti degli amici e dei personaggi celebri che Kerouac incontra realmente o che conosce attraverso la lettura di riviste dell’epoca sono raccolti in una delle sezioni più interessanti della rassegna: qui sfilano come in un album i volti di attori e letterati, come quello di Truman Capote, uno dei più incalliti detrattori della Beat Generation, ma anche di personalità più insolite per Kerouac, come quella del Cardinale Montini, scoperta tra le pagine del giornale «Life» e resa protagonista di un dipinto dai colori vivacissimi e dai tratti materici e inquieti.

Particolarmente rappresentativa della ricerca interiore mai sopita di Kerouac è la sezione intitolata Visioni di Jack, dove sono esposti lavori dal soggetto religioso. Un tema molto caro all’autore perché forte è il suo bisogno di dare corpo al trascendente. Ritornano con insistenza, nelle tele e nelle opere grafiche, la figura di Cristo così come quella di Buddha, in una commistione di che dimostra come per Kerouac il concetto di divinità sia da intendere in un’accezione molto ampia e assolutamente non in contrasto con il suo estremo desiderio di libertà. Belle, inoltre, le tappe del percorso che arricchiscono ulteriormente la conoscenza di Kerouac: la serie di fotografie di Ettore Sottsass scattate nel 1966 in occasione del viaggio in Italia dello scrittore, ad esempio, e soprattutto la proiezione del cortometraggio Pull My Daisy, sceneggiato e doppiato dallo stesso Kerouac.

Esplorare l’enigmaticità dell’esistenza era la sola attività che Kerouac riteneva degna di sforzi ed è quello che, anche attraverso la pittura, egli ha fatto per tutta la sua breve, temeraria e disperata vicenda umana.