L’altra metà del... ciak

Nel mondo della regia le donne non hanno mai avuto vita facile; ora le cose sembrano finalmente in procinto di cambiare – anche nel nostro Paese
/ 09.10.2017
di Nicola Falcinella

Sofia Coppola con L’inganno è stata la seconda donna a vincere la Palma per la miglior regia al recente Festival di Cannes, dopo la russa Julija Solnceva che vinse nel 1961 con Storia degli anni di fuoco. Già Leone d’oro di Venezia con Somewhere, la Coppola è una delle più affermate cineaste di oggi e ha riproposto l’annoso dibattito sulle presenze femminili nel cinema. Anche nel cinema, le donne stanno conquistando spazi e forse Cannes è l’ultimo ad accorgersene: solo Jane Campion ha conquistato la Palma d’oro nel 1993 con Lezioni di piano. Nel ritardo hanno fatto peggio gli Oscar, che solo nel 2009 hanno premiato Kathryn Bigelow per The Hurt Locker. 

La pioniera fu Alice Guy che, da segretaria della Gaumont, girò il primo cortometraggio nel 1896 e fu attiva fino agli anni 20 come regista, sceneggiatrice e produttrice. Altro nome fondamentale degli albori è la napoletana Elvira Notari, fondatrice della Dora Film, una delle case di produzione italiane più importanti da inizio secolo fino al 1930. A loro si aggiungono le cineaste che operarono prima della Seconda guerra mondiale: Dorothy Arzner, regista e prima montatrice accreditata nei titoli di testa, la mitica Maya Deren e la famigerata Leni Riefenstahl.

È però la generazione che emerge negli anni 50 a ottenere i riconoscimenti, soprattutto l’attrice e regista Ida Lupino a Hollywood e Agnès Varda, che in Francia anticipa la Nouvelle vague. Le prime vincitrici di festival importanti sono altre due cineaste a buon diritto definibili maestre: l’ungherese Márta Mészáros, primo Orso d’oro con Adozione nel 1975 e la tedesca Margarethe Von Trotta, primo Leone d’oro nel 1981 con Anni di piombo. A loro vanno aggiunte la ceca Vera Chytilova (Le margheritine), le sovietiche Kira Muratova e Larisa Shepitko (Orso d’oro 1977 con L’ascesa), le italiane Liliana Cavani (Il portiere di notte), Lina Wertmüller e Cecilia Mangini, Nora Ephron, l’iraniana Forough Farrokhzad e l’afroamericana Julie Dash. Più giovane era la precoce e geniale belga Chantal Akerman, autrice di Jeanne Dielman (1975).

Tra i grandi festival, Locarno è arrivato dopo – il primo Pardo solo nel 1990 alla sovietica Svetlana Proskurina con Un valzer casuale – ma ha recuperato il tempo. Oggi sono nove le cineaste pardate, compresa la bulgara Ralitza Petrova con Godless nel 2016. Tra loro la giapponese Clara Law Qiuyue – Luna d’autunno, le francesi Claire Denis (Nénette et Boni) ed Hélène Angel (Pelle d’uomo cuore di bestia), la pakistana Sabiha Sumar (Acque silenziose), la cinese Xiaolu Guo (She, a Chinese) e due svizzere, Andrea Staka (Das Fräulein) e Milagros Mumenthaler (Aprire porte e finestre). In totale, cinque registe hanno vinto l’Orso di Berlino e quattro il Leone di Venezia.

Negli ultimi anni c’è stato un considerevole e rapido aumento delle registe: la loro presenza nei festival non è più occasionale e si spera che presto il numero di donne in gara non farà più notizia. Sono sempre di più quelle che emergono nel cinema di finzione e ancor più spesso nel documentario, forse perché di più facile accesso grazie al digitale e per i budget inferiori. Senza ragionare in quote rosa, anche se alcuni Paesi ne hanno introdotte per i finanziamenti, servono vere pari opportunità per ragionare dei film senza guardare al sesso dell’autore. Intanto, meglio considerare le tante liete notizie che ci sono.

La sempreverde Agnès Varda, a 89 anni, ha appena presentato Villages visages, realizzato con JR. L’ennesima perla di una sterminata carriera che ha avuto il vertice nel Leone per Senza tetto né legge nel 1985 e annovera grandi film come Cleo dalle 5 alle 7 o Les plages d’Agnès. Eleonor Coppola, moglie e collaboratrice di Francis Ford e madre di Sofia e Roman, ha esordito a 80 anni con Parigi può attendere. La regista di uno dei grandi successi (e sorprese) della stagione, Wonder Woman, è Patty Jenkins già segnalatasi per Monster (2003) con una Charlize Theron imbruttita.

A Berlino l’Orso se l’è portato a casa On Body and Soul dell’ungherese Ildykó Enyedi che, dopo la rivelazione, nel 1989, di My 20th Century, non aveva più realizzato molto. Sempre al festival tedesco è stata premiata la polacca Agnieszka Holland (Europa, Europa, In Darkness) per Pokot, mentre è stato molto apprezzato The Party della britannica Sally Potter, altra cineasta di lungo corso. Intanto Ava DuVernay, nota per Selma – La strada della libertà, ha vinto l’Oscar per il miglior documentario con 13th.

Oggi quasi tutte le cinematografie mondiali contano su cineaste di spicco e nomi emergenti, dall’inglese Andrea Arnold alla giapponese Naomi Kawase, dalla cinese Ann Hui alla danese Susanne Bier, dalla turca Yesim Ustaoglu all’indiana Mira Nair e molte altre. Le «squadre» più forti sono le francesi (Anne Fontaine, Mia Hansen-Love, Claire Simon, Maïwenn, Alix Delaporte, Léa Fehner, Catherine Breillat, Valerie Donzelli), le iraniane (Marjane Satrapi, Shirin Neshat, Samira e Hana Makhmalbaf, Rakhshan Bani Etemad) e le americane (Kelly Reichardt, Nancy Meyers, Angelina Jolie, Lisa Cholodenko).

Il cinema italiano va dalle Comencini, Cristina e Francesca (che in Piazza Grande a Locarno ha portato Amori che non sanno stare al mondo), Francesca Archibugi e Antonietta De Lillo fino ad Alice Rohrwacher e tante giovani documentariste. La Svizzera, oltre alle già citate Staka e Mumenthaler, conta su un bel gruppetto alle spalle della veterana Jacqueline Veuve: Ursula Meyer (Home, Sister), ben affermata tra le migliori europee, Bettina Oberli e Petra Volpe, capaci di ottenere notevoli successi di pubblico, e diverse altre con all’attivo solo uno o due film.