Laetitia Dosch, sulle ali della libertà

L’attrice franco-svizzera riesce a colpire il pubblico per la sua mancanza di paura e per un’irriverenza che ne sottolinea lo spirito libero
/ 19.11.2018
di Giorgia Del Don

Quando l’addetta stampa di Laetitia Dosch mi annuncia via e-mail che il tempo a mia disposizione per intervistare l’attrice non supererà i 30 minuti mi dico: «un tantino primadonna, ma va bene così». Quando poi, sempre la stessa addetta stampa mi ricontatta per annullare l’appuntamento a causa dell’eccessiva stanchezza dell’attrice, mi sento un po’ come un invasore che avrebbe voluto esplorare un territorio che, sebbene messo in scena sotto molteplici prospettive, preferisce comunque rimanere inesplorato.

A causa della crudezza dei suoi dialoghi e dell’immediatezza della sua presenza, ogni apparizione di Laetitia Dosch crea scompiglio, un divertito disagio, come se la rete di sicurezza che divide attore e spettatori venisse a mancare. Sebbene l’attrice franco svizzera sembri dare tutto su scena, esponendosi senza il benché minimo filtro, brandendo la provocazione come unica arma, qualcosa nel suo sguardo rimane misterioso. Un po’ come se la scena diventasse il suo ring, un luogo dove può davvero essere se stessa, libera da quella dominazione (sociale, sessuale, intellettuale) che combatte con tutte le sue forze. Incontrare la «vera» Laetitia sarebbe forse stato come usurpare questa sua libertà, penetrare in un mondo extradiegetico che appartiene solo a lei, e che probabilmente è giusto lasciare incontaminato.

Intrigante già solo per la sua presenza: pelle diafana e sguardo falsamente ingenuo abitato da un bisogno imperioso di provocare chi osa sfidarlo, Laetitia Dosch fa parte di quelle attrici (Julie Delpy, Virginie Despentes,…) che non hanno paura di niente. La sua forza risiede proprio nella completa noncuranza verso il politicamente corretto, nella capacità d’abbandonare allegramente ogni pudore. Libera di essere e non d’interpretare il proprio ruolo, l’attrice tesse su scena una fitta ragnatela di referenze alla nostra cultura (pop) che stravolgono l’ordine prestabilito. Assistere alla liberazione della parola sistematicamente imprigionata nelle gole di tante donne è qualcosa di estremamente radicale e catartico. Un gesto di per sé semplice che mette però crudelmente in luce l’assurdità e il ridicolo dei tabù che la tengono a bada. Comica, impudica, ironica ed estrema, Laetitia Dosch si trasforma in portavoce di un nuovo genere, costruito «à la carte», personalizzato secondo i desideri d’ognuno di noi.

Come un catalogo di quello che potremmo essere, l’attrice e regista mette in scena nel suo Un album (2017) una galleria di ritratti eterogenei e sorprendenti: un neonato, un’anziana signora, una casalinga dalla risata compulsiva e chi più ne ha più ne metta. Laetitia Dosch sembra inghiottire i personaggi per farli suoi, nutrendosi delle loro forze ma soprattutto delle loro debolezze. Prendendosi gioco con rispettosa ironia dei loro maldestri tentativi di conformarsi a un ridicolo ideale. Lo spettatore si sente smascherato, ma invece della vergogna prova liberazione. 

Mai sprovvista di sfacciataggine e creatività, Dosch si è formata alla Manufacture di Losanna. Radicale e fedele a quello humour nero che la contraddistingue, Laetitia Dosch si spinge fino a urinare in scena, cospargendosi poi il viso con le proprie scorie, per infine offrire baci ai temerari spettatori che avranno il coraggio di accettarli. Attrice teatrale e cinematografica (nominata quest’anno al prestigioso César come miglior speranza femminile per Jeune femme di Léonor Serraille), performer (per coreografi del calibro di La Ribot o Marco Berrettini) e regista teatrale, Laetitia Dosch è un artista inclassificabile, libera e debordante d’energia, che si nutre della scena per estrarne l’essenza del proprio benessere.

Nel suo ultimo spettacolo, Hate (presentato a La Bâtie di Ginevra), è con Corazon, purosangue spagnolo di dodici anni. Decisa a confrontarsi con la propria superiorità umana, la nostra audace interprete passa dal monologo al dialogo con Corazon, cui dà voce non senza una buona dose d’umorismo. Come due ballerini un po’ maldestri, il cavallo e l’attrice prendono alternativamente il comando della coreografia che mettono spontaneamente in scena. Mai esattamente uguale da una rappresentazione all’altra, Hate è uno spettacolo destabilizzante che gioca con i codici circensi per scivolare quasi subito verso l’introspezione.

Incredibilmente contemporanea e sfacciata, l’artista franco-svizzera sembra leggere nella mente degli spettatori, mettendone in scena i pensieri più inammissibili, con umorismo e un’inaspettata leggerezza. Connotazioni sessuali a parte, la relazione fra Laetitia e Corazon non ha niente di diverso da una classica storia d’amore, con la sua dose di soprusi e distruzione. La radiografia d’una storia sentimentale dai toni surreali che ben s’addice a un’artista che è tutto, fuorché convenzionale.