La voce si fa suono per Rosa, l’omicida

Il prossimo fine settimana al Foce la nuova produzione di Nadir Vassena con Anahì Traversi e Fabrizio Rosso
/ 10.09.2018
di Zeno Gabaglio

«L’ascolto è un esercizio di fantasia, un viaggio. Chi non sa ascoltare, rinuncia». Un brillante aforisma? Un epitaffio a effetto? Una trovata estetico-comunicativa?

Niente di tutto ciò: la frase tanto efficace quanto profonda è parte dell’argomentazione che Nadir Vassena – compositore ticinese dalla ricca attività internazionale e già distintosi al Premio svizzero di musica – costruisce attorno a ROSA, il caso Vercesi, lo spettacolo che andrà in scena i prossimi sabato 15 e domenica 16 settembre al Teatro Foce di Lugano.

«Una produzione al confine tra due “generi” – la danza e la performance – ma sempre con un’unica figura umana al centro e con un importante connubio fra la musica e gli aspetti visivi e testuali». Un po’ com’era stato per La forme de l’âme, spettacolo presentato nel 2015 al LAC e poi al Modern Body Festival den Hague nei Paesi Bassi. E – guarda caso – anche in quell’occasione l’aspetto scenico-visivo era stato curato dal poliedrico ideatore Fabrizio Rosso. «Con ROSA, il caso Vercesi ci spostiamo decisamente di più verso il teatro» prosegue Vassena «ma non è né teatro musicale né opera. L’idea – non troppo originale, per la verità – è quella di stabilire una vera relazione di necessità fra le varie componenti sceniche: la musica non è solo appiccicata (come molto spesso accade) ma nasce insieme alla regia e dirige l’azione scenica dell’attore».

Se si tratta anche di teatro è quasi inevitabile la presenza di attori, ed ecco dunque Anahì Traversi (che con Rosso aveva già lavorato a La Extravagancia #0, selezionata allo Schweizer Theatertreffen 2015) qui impegnata in «un approccio interdisciplinare. Non tanto per usare una parola di moda ma proprio perché, se qualcuno avesse assistito alle prove, avrebbe sentito il regista chiedere un certo tipo di sonorità, il compositore chiedere all’attrice di restare immobile all’ascolto di un momento musicale, l’attrice domandare un certo tipo di trattamento sonoro della propria voce, e via di seguito».

Verrebbe quasi da dubitare che in ROSA, il caso Vercesi sia in atto una confusione di ruoli. «Una confusione però proficua – da non confondere con il dilettantismo dell’improvvisazione – che è possibile solo quando le persone che lavorano insieme si conoscono e si rispettano da tempo. La speranza è ovviamente quella di aver creato un tutt’uno organico in cui lo spettatore possa immergersi, senza quasi più “sentire” le varie componenti teatrali che singolarmente vanno a formare il tutto».

L’intera azione si basa su un caso di cronaca: la famosa vicenda omicida di Rosa Vercesi che scosse l’Italia degli anni ’30 per la propria natura torbida, misteriosa, moralmente inaccettabile. Avvenimenti reali che saranno resi in modo narrativo o piuttosto evocativo? La storia di Rosa Vercesi sarà testo o pretesto? «La storia è semplicemente una storia come tante altre: importante, paradossalmente, per la banalità dei suoi presupposti, e tragica perché trasformata (dal palcoscenico dei mass media dell’epoca) in un “caso”. Come spesso capita in queste situazioni rimane sempre più interessante quello che non si sa della vicenda che non i fatti di cronaca, e soprattutto cercare di indagare come noi spettatori ci rapportiamo a eventi così eclatanti, che sentiamo lontani ma che sono sempre molto vicini e “possibili” nella vita di ciascuno».

In che modo Nadir Vassena è riuscito a sorpassare – nella sua scrittura musicale, che da sempre si distingue per rigore e coerenza propri – l’eterno dilemma teatrale, per cui se c’è parola questa dev’essere innanzitutto capita, e la musica passa immediatamente in secondo piano? «L’aspetto dell’ascolto è centrale in questo come in tutti i miei lavori e la voce dell’attrice – anche se vi sono molti suoni vocalici trattati e rielaborati nella scrittura musicale – non è una voce-strumento ma soprattutto un corpo che risuona nella musica che lo circonda».