La vita riflessa di Vivian Maier

La fotografa-Mary Poppins americana non smette di fare parlare di sé: sono appena usciti due libri che cercano di ricostruire il ritratto di una donna straordinaria
/ 12.11.2018
di Mariarosa Mancuso

Fu l’affare migliore di sempre, nella categoria «tesori scoperti ai mercatini o svuotando soffitte, pochi soldi e molta resa». John Maloof aveva una certa esperienza in materia, il padre comprava e vendeva roba vecchia, il nonno aveva fatto lo stesso mestiere. Neanche lui però avrebbe immaginato che 380 dollari, offerti a un’asta per uno scatolone pieno di negativi e rullini fotografici, potevano fruttare tanto (in aggiunta, c’erano vestiti, cappellini, ricevute, rimborsi delle tasse mai incassati: materiale pignorato a un’inquilina indietro con l’affitto). Cercava fotografie per illustrare un libro su Chicago, scoprì una Grande Fotografa Americana.

Nel 2007, anno della fortunatissima asta, il nome di Vivian Maier era ignoto a Google. Oggi il motore di ricerca sputa in meno di un minuto dieci milioni di pagine (e sono molte di più, calcolando la ricchezza del sito ufficiale e le raccolte di fotografie). John Maloof non aveva usato i rullini e i negativi per il libro, ma conservò gli scatoloni (non si campa saccheggiando i mercatini se non sì è, almeno un pochino, accumulatori seriali: potevano tornare utili più avanti).

Quando riguardò le fotografie, e capì quanto erano belle, le mise su Flickr – pensatelo come il social network dei fotografi: grande successo di pubblico mentre i galleristi erano meno entusiasti. Un paio d’anni dopo, capitò sotto gli occhi di John Maloof l’annuncio mortuario della misteriosa Vivian Maier. Si mise a far ricerche, e assieme a Charlie Siskel girò il documentario Alla ricerca di Vivian Maier. C’erano altre scatole piene di roba, nella casa di Chicago dove era morta a 83 anni. Niente parenti: di lei si occupava qualcuno degli ex bambini che l’aveva avuta come tata e ancora ne ricordava il passo marziale e le scarpe stringate.

Per quarant’anni, Vivian Maier era stata a servizio, amatissima dai piccoli e dai genitori che le pagavano lo stipendio. Smessi i panni di Mary Poppins diventava Diane Arbus, e non sempre le due personalità riuscivano a restare separate. Portava i bambini a passeggio nei quartieri malfamati, sempre con la Rolleiflex appesa al collo (la maggior parte delle foto sono scattate in strada, accanto alle signore eleganti compaiono barboni e alcolizzati). Se un ragazzino cadeva dalla bicicletta, lei prima scattava e poi portava soccorso. La fotografia non lascia dubbi: il piccino con le ginocchia sbucciate è per terra, la mamma accorre, la tata sceglie l’inquadratura giusta per riprendere entrambi.

Questo sapevamo finora di Vivian Maier, dopo aver visto il documentario di Maloof&Siskel (nella collezione Feltrinelli Reel Cinema). Sottotitolo La tata con la Rolleiflex, per lancio una frase di Alessandro Baricco: «Una storia troppo bella per essere vera». Troppo bella anche per non ingolosire un romanziere, anzi due. Da Chiarelettere è appena uscito Vivian di Christina Hesselholdt. Da Neri Pozza è appena uscito Dai tuoi occhi solamente di Francesca Diotallevi.

In copertina, Vivian Maier riflessa nello specchio con la Rolleiflex, i capelli corti, il nasino all’insù che contrasta con la corporatura imponente e mascolina. Quasi la stessa foto – un cappello fa la differenza. Graficamente rielaborata nei toni dell’azzurro per la scrittrice danese, che smonta la biografia in un mosaico di voci. Lasciata al naturale per l’italiana, che confeziona un romanzo più tradizionale.

In Dai tuoi occhi solamente, torna la passeggiata con i bambini – sulla spiaggia, questa volta. Tra le dune, vedono un ubriaco – o forse un poveretto accasciato per un malore. Vivian Maier si prepara per lo scatto, invece di soccorrerlo. È uno dei pochi momenti in cui la Miss Maier del documentario e la Miss Maier del romanzo si somigliano.

Francesca Diotallevi ha studiato, questo è certo – ritroviamo la disastrosa infanzia, il soggiorno in Francia, tutto quel che ci deve essere. Aggiunge però un sovrappiù di interpretazione, di consapevolezza, di retorica (sull’arte, gli artisti, la fotografia, i derelitti) poco in sintonia con il personaggio. E ancor meno con la magnifica semplicità degli scatti diventati nel frattempo famosi. Gente per la strada, ricchi e poveracci, donne e uomini, ma sempre individui: non simboli, non metafore, non immagini da interpretare. Può darsi che Vivian Maier, alla maniera di Roland Barthes o di Susan Sontag, riflettesse nella solitudine della sua cameretta sullo statuto della fotografia. Può darsi. Ma esistono anche i talenti naturali, che non si tormentano prima di scattare.