La stampa e i suoi caratteri

La Svizzera ha giocato un ruolo di primo piano nella creazione dei caratteri tipografici
/ 29.04.2019
di Orio Galli

Anche se il direttore del Politecnico di Zurigo ha annunciato la prossima morte delle biblioteche, da parte mia ritengo più probabile l’ipotesi formulata da Umberto Eco: quella che il libro – come oggetto/strumento – per la sua essenzialità e funzionalità (come il martello, la forbice, il cucchiaio…) abbia a durare sempre nel tempo. E ciò indipendentemente da qualsiasi aggeggio digitale venisse creato anche in futuro per la lettura di un testo. Una lettura – quella su carta – che riuscirebbe a «raggiungere il profondo della nostra mente», così come hanno recentemente affermato alcuni luminari delle neuroscienze.

Durante il Rinascimento Claude Garamond (Parigi 1480-1561) disegnò il carattere Garamond che ancora oggi rimane per sua eleganza e leggibilità il font più usato nel campo dell’editoria. Su di lui la regista, giornalista e scrittrice Anne Cuneo scrisse (1936-2015) (1936-2015) l’interessante libro: Il maestro di Garamond (Neri Pozza).

Solamente quattro secoli dopo Claude Garamond, nel 1931, Stanley Morison (1889-1967) per poter disporre di un «font» adatto a far rientrare un numero massimo di caratteri nelle pagine di un giornale (il «Times» di Londra) disegna il carattere chiamato per l’appunto Times, ancor oggi molto usato anche con i computer.

In Italia Giovanbattista Bodoni (1740-1813) disegnerà invece nel diciottesimo secolo il famoso carattere che porta il suo cognome: Bodoni. Un alfabeto dalla massima eleganza ma che presenta, soprattutto per testi di una certa lunghezza, problemi di leggibilità. Emblematico che di questo font abbia fatto largo uso per le sue pubblicazioni un raffinatissimo editore com’è Franco Maria Ricci. Libri e riviste, le sue, che sono più da guardare e da ammirare che da leggere.

Se i tre caratteri appena citati possiedono tutti le «grazie» – come vengono chiamati i terminali («empattements») delle lettere dell’alfabeto – nel Novecento, sulla scia del «razionalismo», nascono i caratteri lineari senza grazie. Si tratta di font dalla forma geometrica essenziale, come il Futura di Paul Renner (1878-1956) creato nel 1927 sulla scia dell’estetica funzionalista della famosa scuola germanica Bauhaus che ha da poco festeggiato i cent’anni.

Tre nuovi diversi caratteri tipografici senza grazie, definiti anche «groteschi» per distinguerli dagli «antichi», nascono, quasi in contemporanea, negli anni ’50 del Novecento. Tutti e tre progettati da disegnatori svizzero tedeschi: caso unico nel panorama mondiale del graphic design. Sono l’Helvetica di Max Miedinger (1910-1980), l’Univers di Adrian Frutiger (1928-2015) e il Syntax di Hans Eduard Meier (1922-2014). Soprattutto Frutiger e Meier disegneranno altri caratteri, ma saranno i tre font sopra elencati a renderli famosi a livello internazionale.

Su Miedinger, in occasione dei 50 anni dalla nascita dell’Helvetica, nel 2007 la televisione realizzò un documentario – da notare che proprio nelle scorse settimane è stata presentata una nuova versione di Helvetica, Helvetica Now, un font che ben si adatta alle esigenze digitali della nostra epoca; la già citata Anne Cuneo realizzò invece un bel documentario su Frutiger nel 1999. Su H.E. Meier, del quale ho avuto la fortuna d’essere stato allievo ai Corsi di calligrafia nei primi anni Sessanta a Zurigo, la RSI ha prodotto un servizio nel 2013, affidandolo al regista Vito Robbiani. Fortunatamente in tempo prima che Meier se ne andasse l’anno seguente (trasmissione «Svizzera e dintorni», 90 anni e un nuovo carattere).

Naturalmente i libri non sono solo da leggere, ma anche da guardare, da sfogliare, da annusare… Per cui l’impaginazione, la carta, la rilegatura, tutto ha, o dovrebbe avere un senso, un valore, un significato. In primis l’immagine della copertina, per progettare la quale  stampatori e/o editori si affidano a professionisti. 

Se a livello teorico le nuove tecnologie digitali dovrebbero offrire nuovi spazi operativi e possibilità creative per la grafica contemporanea – grafica che, per la progettazione, rimane sempre alla base di ogni prodotto visivo – nella realtà le cose non stanno purtroppo così. Anche perché l’accesso ai computer e ai plotter casalinghi è oggi per principio consentito e facilitato a tutti. Soprattutto a troppe persone che, seppur sprovviste dell’indispensabile cultura umanistica e di un’adeguata formazione professionale nel campo del visivo, si ritengono competenti. Stesso discorso potrebbe esser fatto per la progettazione-realizzazione di riviste, giornali, cataloghi, scritte, prospetti, immagini coordinate, logotipi, marchi… Ma ormai oggi purtroppo in molti campi imperano superficialità e improvvisazione.