La luce illumina una piramide di libri al centro del palco, agli angoli quattro attori siedono in silenzio. Un sottofondo musicale dà il segnale d’inizio di una liturgia letteraria al cui centro c’è la passione per la lettura, per il libro, per quelle parole che se ne sono andate via e che ci stanno aspettando. Per quelle parole che sono come carezze o come un Graffio sul bianco, come recita il titolo allusivo dell’ultima creazione che ha recentemente debuttato al Teatro delle Radici, uno spettacolo scritto e diretto da Cristina Castrillo con l’aiuto regia di Bruna Gusberti. Ci piace immaginarlo come una sinfonia per quattro attori, Cristina lo definisce rudimentale e grezzo, ma in realtà è frutto di un’attenta selezione di stralci d’autore per un patchwork denso e significativo, testimone di una grande passione per la lettura.
Da Cervantes a Galeano, da Calvino a Eco passando per Baricco, Ungaretti e Whitman, ma anche Pessoa, Pavese, Chatwin… Un contagio culturale lungo un percorso dove, come sempre, è in gioco anche il vissuto degli attori, una memoria che si intreccia con pagine d’autore per una trama che non è una storia. Ma una dichiarazione d’amore portatrice di simbologie, un disegno meticoloso per la catasta di libri che si trasforma in quadrati da cui entrare e uscire o in un grande quadrilatero al cui interno far rivivere un cerchio vitruviano, un luogo dove il libro respira. Graffio sul bianco è affascinante, un’eco subliminale dove il destino del libro non è fra le fiamme di Fahrenheit 451 descritte nel romanzo di Bradbury, ma nella dinamica di quattro personaggi emblematici con l’ottima prova di Giovanna Banfi Sabbadini, Ornella Maspoli, Massimo Palo e Carlo Verre. Lo spettacolo replica al Teatro Foce di Lugano dal 6 all’8 dicembre e al Teatro delle Radici dal 13 al 15.
La favella narrante e il pensiero forte di Bergonzoni
Strepitoso e incontenibile, Alessandro Bergonzoni è tornato al Teatro Sociale di Bellinzona con Trascendi e sali, spettacolo di cui, come sempre, l’attore, scrittore e performer bolognese è anche autore, scenografo e regista (con l’inseparabile Riccardo Rodolfi), protagonista di una verve che continua a lasciare a bocca aperta e a provocare gran divertimento alle numerose platee teatrali che l’hanno applaudito finora.
Particolarmente ispirato dall’attualità, il funambolico artista della parola non si risparmia con le sue meticolose trasformazioni linguistiche e semantiche: una dissezione accurata, avvolgente, sorprendente, talvolta dissacrante. Un lavoro certosino nel ridare forma e sostanza a modi di dire, a formule abusate e retoriche e persino numeri che farciscono il linguaggio comune.
Un processo labirintico, una cascata esilarante che sfocia nella ri-costruzione del senso di lemmi e costrutti fatti ruotare attorno a un’attualità scomoda, sensibile, spesso imbarazzante. Il lungo e irresistibile monologo prende avvio dall’alto di una struttura pensante: un ponteggio metallico da cui l’attore dopo il prologo scende per continuare chiamando a raccolta sul palco invisibili seguaci annodando frasi e concetti che svelano fatti che chiedono giustizia, dove razzismo e sovranismo tornano alla ribalta mascherati da paure accanto a pericolosi perbenismi in marcia alla conquista dell’uomo qualunque, tragiche ondate migratorie, femminicidi e torture di Stato come per Stefano Cucchi e Giulio Regeni.
Un’intelligente e lucida alchimia ammanta quasi due ore di spettacolo dove la risata è sincera e l’applauso corale nel sottolineare sequenze incalzanti, ma dove temi sociali spigolosi smuovono le coscienze con metafore visionarie. Alibi della mente di un’umanità mutante che per voce di un narratore unico del teatro italiano si pone le domande filosofiche ed esistenziali di sempre: chi sono? dove sono? perché?