Hertz Minsker era un uomo inquieto nell’anima e nel corpo. Da anni stava scrivendo un libro e non ne vedeva la fine. Nato in Russia, aveva vagato a lungo fra le capitali europee senza mai orientarsi. Suo padre era il Rabbi di Piltz, noto cabalista, e lui stesso, a sentire l’amico Morris Kalisher, era un erudito, esperto di occultismo e studioso di filosofia. Aveva avuto una corrispondenza con Freud e conosciuto personalità come Bergson, Adler e Buber.
Si era lasciato alle spalle alcune mogli e un paio di figli in giro per il mondo, mentre a New York nel 1940 c’era arrivato in compagnia di Bronia, scostante e malinconica, che aveva abbandonato la famiglia a Varsavia. Lui la ricompensava facendo gli occhi dolci a un mucchio di donne, sempre disposto a nuove avventure. Persino con la padrona di casa Bessie Kimmel, che organizzava sedute spiritiche nell’alloggio in cui vivevano tutti e tre. Maldestro, eternamente al verde, con un talento straordinario per cacciarsi nei guai, Hertz era però un esperto in questioni amorose e sosteneva che ogni uomo aveva una passione primaria, al di là di convenzioni e principi.
Ancora una volta il premio Nobel Isaac Bashevis Singer evoca nel suo splendido romanzo Il ciarlatano, edito da Adelphi a cura di Elisabetta Zevi e nell’ottima versione di Elena Löwenthal, un edonista pieno di dubbi come il ghostwriter Hermann Broder in Nemici e prima ancora l’incorreggibile dongiovanni Yasha Mazun, protagonista del romanzo Il mago di Lublino, in bilico, come lo stesso Hertz, fra l’amore per la tradizione ebraica e la costante trasgressione delle regole dei Padri.
Per il lettore è un’occasione ghiotta: il libro è infatti in anteprima mondiale, apparso finora solo in yiddish a puntate sul giornale Forverts fra il 1967 e il 1968. Vi si ritrova un’America sgualcita, terra senza illusioni, e una New York che, a sentire quegli esuli ebrei, è troppo grande per essere letta. Metropoli puzzolente che in certi angoli ricorda Varsavia, dove i profughi scampati al nazismo per sopravvivere si arrabattano come possono tra imbrogli e menzogne. Solo Morris, basso e tarchiato, con una piccola barbetta e il sigaro in bocca, miete successi nel settore immobiliare e si muove negli affari come un pesce nell’acqua.
Per lui le strade americane sono lastricate d’oro. Inevitabile quindi che cerchi di convincere il vecchio amico Hertz ad abbandonare i suoi manoscritti e cercarsi un lavoro redditizio. Fiato sprecato perché l’inconcludente rubacuori alle prese con i suoi paradossi filosofici ha già il suo daffare con la seconda moglie dell’amico, Minna, donna appassionata, tracagnotta e dal petto abbondante, che scrive poesie in yiddish e ogni tanto dipinge. Anche lei ha i suoi problemi, soprattutto quando in città arriva da Casablanca l’ex marito Krimsky, uno scroccone professionista, un bugiardo matricolato che sembra uscito dalle pagine del Felix Krull di Thomas Mann. A questo punto la commedia prende il volo e ci porta alle latitudini dei film di Ernst Lubitsch, tra pathos e ironia, sullo sfondo di un mondo in cui aleggiano fantasmi tragici e grotteschi.
Morris ha ormai la certezza che la moglie lo tradisca con quel lestofante di Krimsky, che cerca a più riprese di vendergli dei quadri falsi, e lo confessa a Hertz, salvo poi accorgersi che proprio l’amico è il vero amante. Situazione imbarazzante e difficile che metterà fine a un lungo e intenso rapporto e scatenerà le più varie riflessioni sulla debolezza umana tanto da far dire a Morris in preda alla disperazione: «L’essenza della civiltà consiste nel glorificare l’adulterio».
Sconvolto, non gli resta che recitare le Diciotto Benedizioni, pensando che anche dalla generazione più giovane, quella dei suoi figli, non arriverà nulla di buono. «Profanano tutto – borbotta con un senso di tristezza e vergogna –. Gettano la Torah in mezzo al letame». Mentre Hertz, per quanto turbato e in preda a riflessioni su Dio e il mondo, cerca la redenzione in nuove coinvolgenti avventure. Tocca a Miriam, la nuova fiamma più lucida e distaccata di altre, cogliere la vera sostanza di quell’erudito un po’ cialtrone: «Sei un cinico – gli dice – Per te l’amore è solo un gioco (…) le tue parole sono una cambiale senza garanzie». Nella girandola di flirt e passioni lo stesso Hertz si scopre fragilissimo ed esposto alle più crude disillusioni. E il mondo non sorride all’ebreo che si allontana anche solo di un passo dalla Torah.
Singer ha scritto una commedia brillante costellata, come sempre, da riflessioni sulla propria identità. È il gioco corale delle molte, disparate voci di una tradizione che l’orrore di quell’epoca voleva cancellare e che qui riemergono alla ricerca di una redenzione impossibile. Una sinfonia dagli infiniti interrogativi che per un attimo sembra l’assordante vuoto della disperazione.
Bibliografia
Isaac Bashevis Singer, Il ciarlatano, a cura di Elisabetta Zevi, traduzione di Elena Löwenthal, Adelphi, p. 268, € 20.–.