La scelta di Zahraa

A colloquio con l’attrice, produttrice, regista e attivista irachena Zahraa Ghandour, protagonista del film Baghdad in my Shadow del regista Samir, presentato a Locarno
/ 09.09.2019
di Giorgia Del Don

Scegliendo l’attrice, produttrice, regista e attivista irachena Zahraa Ghandour come protagonista femminile del suo ultimo film Baghdad in my Shadow (presentato Fuori concorso all’ultima edizione del Locarno Festival), Samir non ha solo dato vita a un personaggio complesso, ma ha anche e soprattutto dato voce a un’artista coraggiosa e magnetica che si batte in difesa dei diritti delle donne in una società che le vorrebbe invisibili.

Già a ventidue anni Zahraa Ghandour conduceva il proprio show televisivo settimanale. Un appuntamento importante che, con uno stile documentaristico, si concentrava sulle questioni sociali, e di conseguenza delicate, che toccano l’Iraq. Presente su tutti i fronti: dai media online alla radio, passando per la televisione e il cinema, la giovane protagonista di Baghdad in my Shadow dice forte e chiaro quello che molti non osano nemmeno pensare. Non è quindi un caso che il ruolo di Amal le calzi a pennello: «Amal si è nutrita della mia storia e io della sua, siamo diventate una cosa sola», ammette Zahraa.

Baghdad in my Shadow racconta la storia di una piccola comunità di emigrati iracheni a Londra che si ritrovano nell’emblematico Café Abu Nawas dove i punti di vista a volte divergenti, così come i segreti di ognuno, si incontrano e scontrano. Ad accomunare questo colorito gruppo di personaggi è la complessa e multisfaccettata condizione di immigrato di religione islamica con i suoi numerosi cliché. Deciso a trasformare il semplicismo in dibattito, Samir ha scelto di mettere in scena personaggi complessi che incarnano tre fa i maggiori tabù del mondo islamico: l’ateismo, rappresentato dal poeta comunista Taufiq, l’adulterio con i diritti delle donne, che la giovane architetta Amal – arrivata a Londra per sfuggire a un marito violento fingendosi una cristiana perseguitata – difende non senza temere le reazioni dei suoi compatrioti, e l’omosessualità, che ha fatto fuggire dall’Iraq il giovane informatico Muhanad.

Temi scottanti e scomodi che Zahraa Ghandour ha deciso di difendere rischiando grosso. Per lei che vive e lavora tuttora a Baghdad una tale libertà può costare caro. È quindi impressionante vedere con che semplicità e determinazione risponde alle nostre domande, un po’ come se la vita avesse per lei un significato ancora più profondo. Una vita da difendere con le unghie che Zahraa Ghandour ha deciso di vivere alla luce del sole, con grande coraggio.

Puoi descrivere con parole tue il personaggio di Amal? Che sentimenti provi nei suoi confronti?
Amal e io abbiamo molto in comune. Entrambe scegliamo di frequentare chi vogliamo e passiamo spesso dei momenti difficili perché cerchiamo di evitare discussioni inutili sulle nostre scelte. Mi sento profondamente legata a lei e al fatto che non era ancora pronta a parlare della sua relazione (con Martin, interpretato da Andrew Buchanan, l’architetto inglese che frequenta di nascosto). Non è facile, a volte ci vuole tempo per esprimersi. Ci vuole molto prima di aprire la bocca quando si è abituati da tempo a doverla tenere chiusa. Amal e io abbiamo indubbiamente in comune la nostra passione per l’arte, ed entrambe prendiamo seriamente in considerazione il nostro piacere personale, le nostre necessità.

Cosa pensi dell’idea di Samir di introdurre nel suo film temi sensibili in Iraq come i diritti delle donne, l’omosessualità, la laicità e la politica?
Credo sia stata una scelta molto coraggiosa perché potrebbe compromettere il suo lavoro futuro in Iraq, il luogo dove ha sempre voluto lavorare e dove vive ancora una parte della sua famiglia. È una grande sfida perché rimette davvero tutto in questione. Non molti sostengono i film prodotti in Iraq se non sono i tipici film sulla guerra. Però questi film non trattano di questioni sociali che è ciò che conta di più. I temi trattati nel film di Samir sono davvero delicati. Il cattivo del film (Ahmed, il marito violento dal quale Amal è scappata e che si rivela aver lavorato per i servizi segreti di Saddam Hussein) mostra che ci sono delle persone corrotte all’interno del governo, ed è vero: soffriamo della corruzione. La questione dei diritti delle donne, di dare alle donne la libertà di essere se stesse, è un tabù enorme in Iraq, dove le donne devono semplicemente soddisfare i desideri dei loro mariti. L’omosessualità rimane però il tabù più grande, quello che porta alla morte.

Cosa significa per te essere una donna e un’artista in Iraq?
Essere semplicemente una persona in Iraq è già di per sé una sfida. Certo si può «vivere» ma la situazione non è per niente facile. Le condizioni di vita sono pessime. La sicurezza è un problema, abbiamo militari ovunque, in qualsia-si momento potremmo essere feriti o addirittura uccisi. Parliamo spesso di chi è stato assassinato poiché è cosa comune, il che è pazzesco. Essere una donna è tremendo, non è nemmeno comparabile alla vita degli uomini. Abbiamo delle aree, delle vie, e degli orari specifici in cui possiamo passeggiare liberamente.
La libertà delle donne è limitata da un’infinità di condizionamenti. La cosa peggiore è che la maggior parte delle donne non se ne rende nemmeno più conto. Inoltre io sono anche un’artista, un’attrice, il che rima con cattiva reputazione a vita. Le donne e il mondo dell’arte sono incompatibili. Personalmente ho diretto per anni uno show-documentario e quando ho cominciato a recitare tutti mi hanno chiesto se fossi pazza: perché vuoi fare una cosa del genere? Prima di tutto non abbiamo un’industria cinematografica in Iraq, ribattevano, e secondariamente chi ti sposerà se diventi un’attrice?

Dove trovi la forza di rimanere in Iraq?
Non voglio andarmene, non voglio essere un’emigrata. Adoro viaggiare, lavorare, vedere il mondo e imparare cose nuove ma non voglio emigrare come molti amici e membri della mia famiglia. Mi sono detta: ok, passerò dei momenti difficili ma amo davvero Baghdad e nessuno ha il diritto di portarmi via questo. Baghdad ha la sua propria magia e l’energia che trovo in questa città non potrei trovarla altrove, questa è la mia città. Ho una sola vita e non so come andrà a finire, ma voglio viverla a modo mio.

Cosa ti auguri per le donne in Iraq e cosa ci possiamo aspettare dal futuro secondo te?
Quello che mi auguro veramente è che le donne si rendano conto che hanno dei diritti. La maggior parte non sa di avere gli stessi diritti di tutti gli altri esseri umani. Questo perché tutto è impostato in modo tale che le limitazioni sono diventate la norma. Tuo padre, i tuoi fratelli, tuo marito, tutti ti fanno capire che è normale essere trattata in modo diverso. Sono sicura che la maggior parte delle donne creda che è l’unico modo di esistere. Quindi mi auguro davvero che a un certo punto le donne, tutte le donne, conoscano almeno i loro diritti di base. Spero sinceramente che si cominci a lavorare su questo con le nuove generazioni. Per quello che riguarda il futuro non mi aspetto dei cambiamenti nell’immediato, o per lo meno io non assisterò a questi cambiamenti. Ci vorrà ancora molto tempo.

Da dove viene il tuo spirito libero?
Sono stata fortunata perché mia madre è fantastica. Una madre single che mi ha fatto sentire semplicemente come una persona. Io e mio fratello siamo stati cresciuti nello stesso modo. Mia madre è anche una lettrice accanita e mi ha stimolato a fare lo stesso. Mi ha aperto la mente e incitato a leggere e ciò mi ha spinto in qualche modo fuori dal sistema. Ho scoperto attraverso la lettura quello che c’era al di fuori del mio mondo. Mia madre è la ragione principale della mia apertura mentale, ma a un certo punto non è più riuscita a starmi dietro. Anche se non le piace vedermi recitare, è contenta di sapermi felice. Di questo sono sicura.