Un’esposizione inedita di un grande artista fotografo riconosciuto a livello mondiale: difficile chiedere di più alla esposizione principale alla Spazio Officina per l’undicesima Biennale dell’Immagine di Chiasso.
L’autore, Boris Mikhailov, è conosciuto in tutto il mondo per aver esposto sui principali palchi della scena artistica internazionale (Stedelijk Museum di Amsterdam, Moma di New York e molti altri) e, in una brevissima sintesi, si può dire che più di chiunque altro abbia testimoniato il disgregamento della società sovietica dopo il crollo del Muro di Berlino, avvenuto esattamente trent’anni fa.
Nato nel 1938 a Charkiv, oggi seconda città dell’Ucraina ma al tempo Unione Sovietica, Mikhailov dopo la sua formazione di ingegnere missilistico lavora nel settore ma al contempo frequenta gli ambienti dell’avanguardia artistica russa – tra cui l’artista concettualista Illja Kabakov.
Attraverso una fotografia scabra, a tratti brutale, senza apparente ricerca tecnica, l’artista ucraino riprende con spirito grottesco, prima le contraddizioni, poi i drammi derivanti il crollo dell’Impero: si rivolge spesso al mondo dei diseredati, ai senza tetto, esplorando e tematizzando temi quale sesso, autodistruzione e povertà – raggiungendo, come detto, dopo il crollo del muro, un vasto pubblico.
L’esposizione allo Spazio Officina, seguita nel suo svolgimento dal giovane curatore italiano Francesco Zanot, presenta solo una parte del vasto progetto dell’artista, ventiquattro delle circa centocinquanta previste, e prende il titolo di Temptation of Death.La serie sviluppa in dittici, così da rapportare direttamente un’immagine all’altra, secondo criteri non sempre leggibili con immediatezza. L’artista lavora sempre con parte delle sue immagini già utilizzate in altri progetti, o in parte scartate. Ma, nonostante l’oscillazione tra nuovo e antico, nonostante il rimescolamento delle sue carte si nota una chiave di lettura dominante: essa è la prevalenza del thanatos, l’impulso alla morte di freudiana memoria, rispetto a quel tanto eros – disperato, osceno, senza grazia né sentimento – che tanto aveva dominato i suoi cicli precedente, come la notissima serie di Case History.
Ciò è certificato anche da quello che può essere considerato un centro gravitazionale della serie, raccolte intorno al crematorio di Kiev, simbolo di una grandezza totalitaria dell’impero sovietico oggi in stato di abbandono. Un luogo dove la natura riprende il sopravvento sull’opera dell’uomo, le sue ideologie e l’esercizio del potere. Come afferma Zanot nella sua presentazione, si tratta di un lavoro «profondamente spirituale», con il frequente ricorso a pose, riferimenti e iconografia che rimanda ad idea di sacro: un ritorno all’idea di entità superiore in netto contrasto con la corruzione terrena.
Lasciandoci alle spalle l’artista ucraino, vorrei proporre un’ulteriore considerazione a margine della manifestazione nel suo insieme, che quest’anno vede la presenza anche di altri artisti nei negozi attualmente senza attività nella cittadina. E questa considerazione riguarda il destino di tante immagine viste ed esposte.
Se è vero che Chiasso appare – ogni due anni, d’autunno – invasa da immagini, è lecito domandarsi anche quale sia il destino ultimo di tanta fotografia. Cosa rimane sul territorio di questa epifania, come precipitato di un impegno così importante da parte dell’associazione omonima, privati e pubblico?
Manca ancora un ultimo passo per concludere una parabola: se in qualche forma si potesse trovare il modo di far entrare una piccola selezione di queste immagini in una collezione (penso soprattutto ai giovani autori), si potrebbe certificare e coronare definitivamente un impegno profuso ormai da più di vent’anni, e che ha per centro la piccola ma vitale città di confine.
Dove e quando
Boris Mikhailov. Temptation of Death.
Spazio Officina, fino al 8.12.2019.
Nell’ambito della Biennale dell’Immagine, www.biennaleimmagine.ch