Dove e quando
Adriana Beretta, Stanze e distanze, Porza, Villa Pia. Orari: ma 10.00-18.00; do 14.00-18.00. Per visite fuori orario: info(at)fondazionelindenberg.org Fino all’15 aprile 2018. www.fondazionelindenberg.org


La precisa immaginazione di Adriana Beretta

I lavori più recenti dell’artista ticinese esposti al Museo di Villa Pia a Porza
/ 12.03.2018
di Emanuela Burgazzoli

Non sempre accade di percorrere una mostra d’arte avendo l’impressione di leggere una storia che si dipana da una stanza all’altra del museo con la compattezza e la coerenza («consistency») alla quale Calvino intendeva dedicare la sua sesta lezione americana. E proprio Stanze e distanze è il titolo scelto per questa intensa esposizione che propone i lavori più recenti di Adriana Beretta, alcuni pensati e realizzati per gli spazi di Villa Pia. Un processo che ha richiesto una lunga preparazione in stretta collaborazione con l’artista, ci conferma la curatrice Tiziana Lotti Tramezzani. «Stanza» è un termine semanticamente ricco dai molteplici significati; indica lo stare, la sosta, l’alloggio, ma anche la camera e l’ambiente di un’abitazione (come lo era il Museo di Villa Pia), ma in origine era anche forma metrica, la strofa della «canzone» (secondo Dante la più alta forma della poesia volgare) che era solito essere accompagnata dalla musica.

Il titolo proietta dunque immediatamente nella dimensione del ritmo poetico e musicale, della distanza spaziale e temporale; non è un caso forse che ad accogliere i visitatori «in limine» alla mostra sia un dipinto a olio che rappresenta alcune partiture vuote. Una pagina insomma ancora da comporre e che forse si comporrà durante quel viaggio verso le altre dimensioni del visibile, che Adriana Beretta ci invita a compiere.

Un viaggio fatto di paesaggi reali come uno scorcio fotografico di Lisbona (Lisboa, 2016), città che viene spezzata e ricomposta con esattezza geometrica, in una serie di «finestre» che racchiudono molteplici prospettive sovrapposte che riproducono la simultaneità delle percezione. Lo sguardo è pensiero e ciò che appare lineare – ci dicono le opere dell’artista nata a Brissago e residente a Bellinzona – si rivela più complesso e frammentato di quanto potremmo immaginare (come in 4 punti di vista N/E/S/O, 2009).

Il viaggio non è soltanto una cifra stilistica per Beretta, ma anche una dimensione esistenziale; dopo una formazione artistica a Monaco e a Bologna, si succedono i soggiorni in varie città europee e i viaggi, dapprima nei paesi arabi come Marocco, Iraq e Iran, poi in Thailandia e in Niger, dove vive e lavora a contatto gli abitanti e la cultura Tuareg. Le opere di Beretta si nutrono di riferimenti letterari, oscillano con apparente semplicità dall’astrazione geometrica al registro concettuale e minimalista, dalla pittura alla fotografia, dall’installazione al video.

La linea che si spezza, che si fa segno ed elemento grafico o «minuscola» architettura, ma anche parola (Inverosimilmente, 2014) disegna gli spazi di Villa Pia dandoci una mappa entro la quale muoverci, ma costruisce anche l’orizzonte del nostro sguardo. Come quel profilo di onde – o striature di nebbia marina (Senza titolo, 2016) che sembrano suggerire una serie di strisce bianche di tipp-ex steso su tavolette di cartone e accostate a un frammento di fotografia: un’immagine in cui si cela un volto riflesso a fotografare il mare da una nave in viaggio. E di un racconto di viaggio si tratta, ma anche di un’interrogazione sulla natura del visibile, o della visione: il sottotitolo rimanda a una citazione di Pessoa. E immediatamente risuona la verità delle parole dello scrittore e poeta portoghese quando afferma: «La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo».

La dimensione esistenziale della visione dunque, filtrata attraverso l’esperienza e la memoria ; ed ecco pronta un’altra possibile risposta, grazie a quel Mi ricordo, opera omaggio al famoso tentativo dello scrittore francese Georges Perec di esaurire un luogo parigino. Beretta propone il suo personale tentativo di descrivere l’esistente, quello spicchio di realtà inesauribile che è la Place Saint-Sulpice. Esaurire non è possibile, resta sempre una lacuna, una mancanza. Lo sguardo è frammentato, gli spazi sono fragili come un foglio di carta o come il gesso che l’artista utilizza per alcuni lavori. Ma «Forse la mia immaginazione è più precisa della mia realtà» recita il verso del poeta palestinese Mahmoud Dawish al quale si ispira Poème (2017). In altri lavori (Senza titolo, 2017) la precisione di quelle linee di matite colorate, che tracciano traiettorie di geometrica sicurezza, è spezzata da un movimento di rotazione che dispone quei dischi-pianeti secondo ritmi silenziosi. Alle linee geometriche si alternano poi le linee più fluide, immaginate, quelle che si nascondono dietro altre linee, come nella parola «inverosimilmente», sinomino di incredibilmente, inconcepibilmente. Non verosimile, insomma, come quella foglia che sembra sospesa sul nulla e invece si tiene a un filo invisibile, scossa dal fremito del vento nel video che chiude il percorso espositivo, come la metafora esistenziale in un verso montaliano.