La poesia in dialogo con la vita

Al LAC il tenero omaggio di Finzi Pasca e della sua compagnia a Julie Hamelin; a Bellinzona un balletto ispirato al Gabbiano di Checov; a Locarno la nostalgia di Santuzza Oberholzer
/ 07.11.2016
di Giorgio Thoeni

«Io per te spezzerò i ricordi in frammenti sempre più piccoli... E in questo buco dell’universo che da lontano è blu... in questo buco dove siamo tutti fatti di mare... in questo buco azzurro di universo torneremo a confonderci e ad abbracciarci...». È un toccante passaggio tratto dalla scena finale di Per te, l’ultima creazione di Daniele Finzi Pasca. Ma anche un segnale intimamente forte della sua volontà di reagire a un lutto che l’ha colpito così profondamente. La prematura scomparsa di Julie Hamelin, amica, compagna e sposa di Daniele, co-fondatrice e motore del successo mondiale degli spettacoli della Compagnia, ha trascinato nello sconcerto anche la sua intera famiglia artistica. 

Così infatti va intesa la straordinaria coesione di attori e tecnici che, stringendo i denti, hanno fatto muovere i primi passi sul palco del LAC all’ultimo nato dalla penna e dalla fantasia di Daniele Finzi Pasca. Per te è un omaggio dichiarato a Julie, dall’inizio alla fine. Un amorevole ricordo dove l’urlo estetico personale vuole uscire dalla sfera di chi l’ha conosciuta per affrontare platee più vaste utilizzando i registri della poesia e la magia teatrale dei sogni. Dalle sue prime battute, lo spettacolo ci prende per mano dichiarando gli intenti e immaginando lo spettacolo ancora in prova a tre mesi dal debutto ma con il corredo al completo. 

La pesante corazza indossata dagli attori (il fardello sul cuore malato di Julie), il colore rosso scarlatto per i costumi, la presenza costante del vento che trascina ogni cosa in un vorticoso turbine, il colorato flusso sanguigno che si innalza furente al centro del palco: «vedere il rosso che scappa via a me provoca ancora vertigine... in una goccia di sangue c’è tutta una mappa, c’è tutto un universo». Elementi di uno spettacolo che corre sulle ali di una battaglia contro una malattia che porterà Julie ad arrendersi definitivamente dopo infinite e penose cure: «sono un guerriero, quello che so fare è lottare. Morirò cercando di stare in piedi».

Vediamo i suoi sogni, il suo modo di affrontare la vita e il teatro, attraverso idee che diventano germogli per un giardino fiorito, la sua gioiosa voglia di ridere. Senza rinunciare alle sospensioni tipiche della cifra stilistica di Finzi Pasca, acrobazie e jonglages leggeri e eleganti, Per te ci regala un testo generoso e intenso: parole cucite su una trama dove la poesia diventa necessità laddove la parola stessa non basta per descrivere il dolore, accanto a immagini di impatto e citazioni tratte da precedenti creazioni. 

Efficace la scenografia (Hugo Gargiulo) e le luci (Finzi Pasca, Alexis Bowles), i bei costumi dai tessuti impalpabili (Giovanna Buzzi) e le musiche di grande suggestione di Maria Bonzanigo registrate con l’Orchestra della Svizzera Italiana. E «la famiglia» degli ottimi e fedeli performers orfani di Julie con Andrée-Anne Gingras-Roy, Beatriz Sayad, David Menes, Erika Bettin, Evelyne Laforest, Félix Salas, Francesco Lanciotti, Marco Paoletti, Moira Albertalli, Nicolò Baggio, Rolando Tarquini e Stéphane Gentilini. In scena fino al 9 novembre.

Un gabbiano che danza

Dal repertorio classico, moderno e contemporaneo si assiste a un continuo travaso di reciproca empatia fra il teatro e la danza: un rapporto complesso, rispettoso, delicato e sinuoso. Può apparire una sfida se un regista teatrale viene chiamato a firmare la messa in scena di uno spettacolo di danza. Ne è però valsa la pena per Un vuoto spazio, spettacolo in prima assoluta al Teatro Sociale di Bellinzona e liberamente ispirato a Il gabbiano di Cechov. 

Un’idea coreografica di Giuseppe Asaro in scena con Francesca Sproccati. Inizio molto fisico in cui i due protagonisti si presentano in proscenio invocando un rituale individuale di movimenti ripetuti, come cercando di liberarsi di qualcosa. Gli ambienti musicali e sonori sono ipnotici, lontani e profondi al medesimo tempo, evocatori di spazi e memoria. Per i due personaggi inizia una trama di incontri, di contatti svelati o intimi, come quelli resi dietro a un velario dove un tavolo e due sedie creano la parentesi domestica. 

Suggestioni teatrali di Spadaro come i tagli di luce, ora caldi ora accennati, fra sospensioni e cambi d’accento sui movimenti: allusioni a una storia dove immaginiamo la Nina di Cechov, ora con Treplëv ora con Trigorin in un amore il cui il movimento dei corpi è in un continuo equilibrio fra contatti giocati sulla leggerezza. Riconoscervi la commedia di Cechov non è scontato, conoscerne la storia può però fornire indicazioni. Come in alcune azioni ripetute dove gli amanti si attraggono e si respingono in un loop di ripetizioni (talvolta eccessive) per un sottinteso drammatico. O come l’intreccio delle braccia in un estremo battito di ali (il gabbiano). 

Lo spettacolo termina sulla falsariga del suo esordio con i danzatori che rievocano i loro primi movimenti, ma a vivere, seppur disperatamente, c’è solo Nina. Di lui non ci resta che un’espressione fissa, ormai spenta. Una prova intensa e affiatata di Francesca Sproccati e Giuseppe Asaro per uno spettacolo riuscito nell’incontro creativo tra l’idea coreografica e la sostanza teatrale. 

Una Locarno d’altri tempi

I ricordi personali stanno caratterizzando una generazione di artisti. L’avevamo colto nel ritorno a una dimensione teatrale più intima di Daniele Finzi Pasca con Bianco su Bianco, l’abbiamo ritrovato recentemente al Sociale con Il tempo delle case di Santuzza Oberholzer per il Teatro dei Fauni, regia di Andrea Valdinocci e Walter Broggini. Escludendo una volontà di emulazione c’è tuttavia un’urgenza verso la propria memoria mediata di chi è abituato a raccontare storie a un pubblico di giovanissimi. 

Ecco così l’album di una Locarno degli anni 60, con i suoi personaggi e la dimensione di quartiere con i nomi delle strade di cui resta solo il ricordo delle piante che le adornavano (camelie, rose, palme…) e «quella casa rosa con i piedi nell’acqua» abitata dalle emozioni del passato. Un revival nostalgico dalla tessitura narrativa efficace nonostante problematiche parentesi cantate. Santuzza Oberholzer è accompagnata in scena dalle musiche di Tiziano Tomassetti.