Paolo Bellini, folgorato da Spartaco

Paolo Bellini ha 8 anni e frequenta le elementari: quando durante la passeggiata scolastica al Museo Vela resta incantato davanti allo Spartaco di Vincenzo Vela informa subito la maestra che da grande farà lo scultore... Al suo atelier di Tremona si arriva passando dai prati. Molti sono gli strumenti del mestiere, come nell’officina di un fabbro, alcune opere sono all’esterno, a poca distanza da capre e cavalli, mentre l’orizzonte spazia sulle colline di un Mendrisiotto dominato dall’urbanizzazione. 

Cosa è più importante? Lo spazio, la luce o altro?
Descrivere il processo creativo di una scultura non è facile, ogni lavoro ha una sua specifica storia. In un’opera d’arte sono importanti tutte queste cose: la luce, la componente spaziale, il colore, le forme verticali e orizzontali, la composizione, il vuoto e il pieno... come in architettura, tutto ha importanza ma occorre che gli elementi dialoghino fra loro.

Tre sue opere fatte in tempi diversi si intitolano Dialogo. Che significato attribuisce a questa parola?
Quando l’opera ti parla tu devi rispondere, durante la costruzione e la composizione dell’opera si creano dei dialoghi che a volte sono armoniosi e a volte violenti, cioè alcune opere sono risolte in modo armonioso, altre invece più che un dialogo contengono un contrasto, ma importante è che poi l’insieme funzioni.

Lei ha iniziato con la scultura tradizionale, cioè gesso, cera e fusione in bronzo, oggi usa materiali diversi: laminati di recupero, lastre in metallo, alluminio, ferro, materiale zincato e scarti industriali. Perché?
Ogni artista ha una sua visione e una sua curiosità, il materiale che si sceglie non è importante in quanto tale, ma bisogna saperlo sfruttare nei suoi valori; di ogni materiale occorre aver compreso il valore espressivo.

Che cosa la spinge a cambiare?
Seguo un’esigenza interna. Ho fatto delle Maternità che si vendevano bene, sarei potuto diventare ricco, ma non posso ripetermi, e cambiare rigenera.

Lei ha conosciuto da vicino artisti famosi come Marino Marini, Jean Arp, Remo Rossi o Henry Moore. 
Personalmente sono stato fortunato, la Fonderia Brotal di Mendrisio, dove sono entrato da giovane, era vicina al terreno dove lavorava mio padre. Conoscere qui scultori famosi, di correnti diverse, provenienti da altre culture e paesi è stato senza dubbio importante, da tutti ho imparato e sono entrato nel loro mondo, ma senza copiare nessuno.

Oggi in campo artistico c’è una sovrabbondanza di stimoli e proposte, cosa consiglierebbe ai giovani innamorati della scultura?
Viva la sovrabbondanza, viva anche il disorientarsi. L’importante è saper scegliere secondo la propria sensibilità. / Eliana Bernasconi

Dove e quando
Paolo Bellini, Sensorialità sinestetica. Spazio Officina, Chiasso. Fino al 28 aprile 2019. Orari: ma-ve 14.00-18.00; sa e do 10.00-12.00/14.00-18.00; lu chiuso. Aperto il 21 e il 22 aprile. www.centroculturalechiasso.ch


La poesia del metallo

Lo Spazio Officina di Chiasso ospita le sculture più recenti di Paolo Bellini
/ 15.04.2019
di Alessia Brughera

È un rapporto profondo e di lunga data quello tra Chiasso e Paolo Bellini: l’atelier di via Soldini è stato per un ventennio la culla delle creazioni dello scultore ticinese e fin dagli esordi dell’attività dell’artista, nella seconda metà degli anni Sessanta, la città gli ha dedicato mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati. Le esposizioni alla storica Galleria Mosaico e alla sala Diego Chiesa hanno ben documentato il percorso di Bellini, contraddistinto da un’assidua sperimentazione che gli ha permesso di maturare, anche attraverso radicali cambi di rotta, una cifra stilistica peculiare nell’ambito della ricerca plastica.

Appare dunque naturale che a ospitare la più recente produzione dell’artista sia ancora Chiasso, con un’importante monografica allo Spazio Officina in cui sono raccolte oltre quaranta opere di medie e grandi dimensioni a testimonianza degli esiti innovativi a cui è approdato lo scultore. Dalla sua ultima rassegna in Ticino sono difatti passati dodici anni, un lungo periodo in cui ha deliberatamente scelto di non esporre per dedicarsi allo sviluppo del suo linguaggio, che solo adesso ha trovato un nuovo punto di arrivo e può essere consegnato al pubblico per intessere racconti visivi inediti.

Il cammino di Bellini incomincia con l’apprendistato nelle fonderie artistiche mendrisiensi e con gli studi all’Accademia di Brera, dove da Marino Marini, suo maestro, carpisce i primi segreti di una scultura che sa essere insieme costruzione ed espressione, architettura e narrazione. Spirito ricettivo e curioso, Bellini guarda all’arte di Jean Arp e di Remo Rossi, lavora in Belgio con Olivier Strebelle e frequenta a Londra Henry Moore, le cui opere appaiono ai suoi occhi di una «forza massiva» senza eguali. In questo periodo per lui esiste solo il bronzo, materiale classico e nobile a cui affida per due decenni la sua creatività.

Poi la svolta. Sentita e voluta. Dalla metà degli anni Ottanta l’artista ha bisogno di nuove sfide: sono le lastre metalliche, adesso, a introdurlo in una dimensione scultorea diversa, lineare ed essenziale. Ora non si tratta più di plasmare l’argilla e la cera da cui trarre l’opera bronzea ma di assemblare laminati, spesso scarti industriali, in nuove composizioni in stretto dialogo con lo spazio. Le figure di riferimento di Bellini diventano Julio González, Robert Müller, Bernhard Luginbühl ed Ettore Colla.

Prima con il ferro, poi con l’alluminio, infine con la lamiera zincata, passando dalla tradizionale ossidazione del materiale alla stesura di patine, lo scultore ticinese riscopre così «l’essenza creatrice di una rigenerazione artistica». Mai figurativa e mai del tutto astratta, l’arte di Bellini, al tempo stesso ludica e impegnata, prende vita da un procedere per aggiunte, da un aggregarsi continuo di elementi in cui ogni frammento contribuisce al potenziale espressivo dell’opera. Le sculture dell’artista, dall’inusuale propensione all’orizzontalità, sono il risultato di una tenace ricerca di soluzioni spaziali governate dall’armoniosa relazione tra i volumi e dal loro interagire con la luce e con i valori cromatici della patinatura, a generare un’immagine compiuta capace di attivare una reazione plurisensoriale nell’osservatore.

Nella mostra di Chiasso, con un allestimento che lascia libero il visitatore di percorrere la sala espositiva senza direzioni obbligate, ci imbattiamo nei lavori realizzati da Bellini nell’ultimo decennio. Si tratta di opere caratterizzate da una grande leggerezza scaturita dall’abilità dell’artista nel comporre le varie parti metalliche unendole tra loro in un’equilibrata alternanza di pieni e di vuoti, di fluidi piani arcuati e di repentine forme spezzate, di corpi accoglienti e di superfici frantumate. Ne sono un esempio Ricostruzione, del 2017, scultura dalla delicata solidità a cui la patina azzurro-argentea conferisce luminosità e movimento, o ancora Ricordando Ronchamp e Origami-Nido, frutto dell’interesse per l’architettura che Bellini coltiva da sempre.

Anche in White Sails, opera donata a Chiasso dall’artista e collocata nel Parco delle Sculture della città, si riscontra quella miscela di robustezza e levità, di stabilità e dinamismo, di consistenza e sottigliezza che Bellini è riuscito sapientemente a cristallizzare in liriche visioni plastiche.