L’idea che un libro famoso e difficile, vincitore del Premio Pulitzer, come American Pastoral, di Philip Roth, venga scelto da un attore per la sua prima regia cinematografica, stupisce, anche se si tratta di Ewan McGregor, quarantacinquenne attore scozzese intelligente e talentuoso, da anni alla ricerca di una storia che lo convinca a spingersi dall’altro lato della cinepresa. Così, qualche giorno fa, alla presentazione a Roma di Pastorale Americana del quale è regista e protagonista, insieme a Jennifer Connelly e Dakota Fanning, gli abbiamo chiesto cosa gli avesse dato il coraggio d’iniziare la sua nuova carriera proprio con un capolavoro della letteratura: «Credo che sia stato il fatto di essere padre di quattro figlie, e di ricordare ancora molto bene di essere stato, a mia volta, “figlio”, non troppo tempo fa. Perché questa è la storia di un padre e di una figlia, di due identità a confronto. E io che per anni avevo cercato di essere il migliore dei padri e dei mariti, e un essere umano pieno di buone intenzioni, mi sono angosciosamente specchiato nell’abisso descritto da Roth, prima come attore, interpellato per interpretare “lo Svedese”, protagonista di un film che molti, tra cui Philip Noyce, avrebbero dovuto dirigere; poi, come regista, quando dopo più di quattro anni, sembrò che il progetto naufragasse. Non potevo permettere che quella sceneggiatura che tanto mi aveva commosso e appassionato, restasse lettera morta, così tirai fuori tutte le idee che mi ero fatto, tutto il coraggio che avevo e ne parlai con i produttori che detenevano i diritti del film».
La storia ambientata alla fine degli anni >60, racconta lo strano destino di Seymour Levov detto lo «Svedese», ragazzone ebreo, biondo con gli occhi azzurri, al quale la vita sembra aver dato tutto. Bello, buono e fortunato, in pochi anni lo «Svedese» è un uomo ricco, di successo, che gode dell’affetto dei suoi amici e della stima dei suoi impiegati. Sua moglie Dawn (Jennifer Connelly), è un’ex reginetta di bellezza del New Jersey, hanno una bambina adorabile e insieme sono una famiglia perfetta. Ma la bionda e solare Merry, da sempre affetta da una leggera balbuzie, con l’adolescenza, cambia profondamente, frequenta gruppi fortemente politicizzati, mentre l’America è scossa da violenti scontri razziali e dalle proteste sulla guerra nel Vietnam.
A poco a poco, la ragazza alza un muro tra sé e i genitori, diventa un’estremista politica e dopo, un attentato a un ufficio postale, in cui muore una persona, nella sua stessa cittadina, Merry sparisce ed entra in clandestinità. «È terribile per un padre non sapere più come fare breccia nel cuore della propria figlia, come parlarle. Non sapere mai dov’è; con chi è; cosa pensa; cosa fa, mentre, naturalmente s’interroga per capire dove abbia sbagliato, e cosa, di ciò che ha fatto, o detto, possa aver provocato tutto questo», ha spiegato McGregor.
«Il film esplora un periodo specifico della storia americana: quando la generazione del dopoguerra, quella del “sogno americano”, entrò in collisione con la generazione successiva, quella dei propri figli – Merry simboleggia tutto questo. Un periodo che purtroppo ha molte similitudini con la nostra tormentata attualità, dove vediamo tanti giovani reclutati da gruppi politici estremisti».
La sceneggiatura scritta da John Romano riesce per molti versi, a «catturare» l’essenza del ponderoso romanzo di Philip Roth che esplora i molteplici aspetti della società americana, e che, come ha sottolineato Ewan McGregor: «mette a fuoco un argomento sotto i differenti punti di vista dei vari personaggi, senza mai prendere partito, o rivelarci il suo pensiero. Così ognuno di noi è incoraggiato a pensare per conto proprio, e a farsi la propria idea, discutendo idealmente con i vari personaggi del romanzo, ai quali finisce per legarsi sentimentalmente. Io non potevo procedere nello stesso modo nel film, ma ho cercato di mantenere un po’ di quella distanza e di quella pluralità di argomentazioni, perché volevo davvero capire Merry e le sue ragioni, non liquidarla come una giovane pazza e cattiva. Volevo conoscere i motivi delle teorie della psicologa, la Dottoressa Sheila, su questa famiglia perfetta e sul perché Merry balbetti, e fare in modo che nel pubblico ci sia chi le dà ragione, ma anche chi sospetti che le sue parole siano dettate da gelosia o invidia. Ovviamente molte delle implicazioni e delle sfumature del romanzo non hanno trovato posto nel film, che però è esattamente quello che avevo in mente e questo mi tranquillizza».
Nei panni di Merry c’è una strepitosa Dakota Fanning, giovane attrice scelta da McGregor dopo molte ricerche, che è una vera rivelazione in un ruolo così complesso. «Fare il regista è molto complicato, devi rassicurare sempre tutti e tenere i tuoi terrori per te. Devi ascoltare gli attori e far sì che siano fiduciosi e motivati e in questo ho imparato da Danny Boyle, con il quale ho lavorato quando ero molto giovane e che sapeva tirare fuori il meglio da ogni attore. Lui lo sa, ma io gliel’ho ripetuto quest’estate, quando abbiamo girato Trainspotting 2. E ritrovarsi di nuovo insieme, e riprendere in mano i propri personaggi vent’anni dopo, è stata una bella e strana esperienza».
Ride finalmente rilassato Ewan McGregor e poi aggiunge: «È stato come sentirseli tutti addosso di colpo, questi vent’anni passati».