I cartelloni delle principali rassegne cantonali sono al completo, e nella nostra regione il teatro si propone con un’offerta dove la drammaturgia contemporanea rivela un intenso dialogo tra danza e teatro. Da Ascona con le proposte del Teatro San Materno di Tiziana Arnaboldi a Lugano con gli appuntamenti del Festival Internazionale del Teatro (FIT), in una diastole e sistole irrobustita dall’apertura del LAC, nell’incontro tra la direzione artistica di Paola Tripoli e quella di Carmelo Rifici.
Potremmo avviare un discorso articolato fra discipline e prospettive ma preferiamo dedicare queste prime righe a ciò che possiamo riunire sotto il tetto della danza. Anche perché, nel giro di una settimana, ci è stato possibile alimentare le nostre curiosità contemporanee da più angoli d’osservazione.
Due produzioni svizzere
Iniziamo dalla stagione del San Materno che si è inaugurata con Spazi sospesi, una creazione insolita di Tiziana Arnaboldi, in cui la scena non è solo per due eccellenti danzatori, Eleonora Chiocchini e David Labanca, ma in cui la dimensione tecnologica interviene nello spazio con una sua poetica particolare. Si umanizza e trasforma la sua presenza facendo emergere il calore del sentimento in rapporto con gli oggetti. Con riflessioni sulla presenza-assenza, con una garbata autoironia sulla danza contemporanea (bravo Labanca, inedito performer). Uno specchio che ritrova l’immagine di segmenti concreti e luminosi articolati dal computer che diventano anime programmate, corollari essenziali per l’ingegnoso bricolage di François Gendre unite alle originali ricerche musicali di Mauro Casappa. Un mix perfettamente assortito per uno spettacolo intenso e ricco di idee che ha raccolto un meritato successo e premiato la ricerca di Arnaboldi e la sua coerente linea editoriale, quest’anno nel segno della luce e nel ricordo di Charlotte Barra a trent’anni dalla sua scomparsa.
Passando alla 25esima edizione del FIT a Lugano, ha segnato l’interesse del pubblico per la danza contemporanea un’altra produzione svizzera con la prima internazionale di Otolithes di Lorena Dozio in scena al Teatro Studio del LAC con Sévérine Bauvais, Aniol Busquets e Eduard Pelleray. Anche in questo caso abbiamo assoluta coerenza nella cifra stilistica dell’artista con uno spettacolo dai movimenti lentissimi, calibrati lungo il soffio modulato del fischio, un codice espressivo caratteristico non solo dell’universo dei volatili. Ci rivela una sospensione fra cielo e terra in una sorta di architettura per quattro corpi danzanti e strumenti musicali che arrivano a sfidare la forza di gravità. Come i quattro cristalli presenti nell’orecchio, responsabili dell’equilibrio e dell’orientamento. Una prova che il pubblico ha gradito a tal punto da dover aggiungere una replica supplementare.
Dall’Inghilterra un trionfo di passionalità
Con la Compagnia londinese di Hofesh Shechter, la danza contemporanea ha riempito la grande sala del LAC con Barbarians, uno spettacolo suddiviso in tre parti per sette straordinari danzatori: Maëva Berthelot, Chiang-Ming Chiang, Erion Kruja, Frédéric Despierre, Yeji Kim, Attila Ronai e Kenny Wing Tao Ho. Il coreografo israeliano Schechter ha dichiarato: «Sono un uomo di quarant’anni, alla ricerca di un brivido» e il «Daily Telegraph» ha definito lo spettacolo una «serata affascinante e volatile, tanto cerebrale quanto pazza». E un po’ «crazy» lo è stata davvero, con una lunga suite di scene ritmate da musica techno e parentesi classiche, un fraseggio coreografico dove l’ironia si somma al sarcasmo e a un uso spregiudicato delle voci per raccontare intimità e passioni. Un divertissement moderno e di classe che è enormemente piaciuto a una platea sorprendentemente giovane.
Avventure tecnologiche in elicottero
Un braccio meccanico e un robot dai movimenti snodabili programmati: «B/Robot», per gli amici. La testa è un beamer che proietta linee e fasci di luce. Fisso sulla scena pare umanizzato. Emette suoni e soffi meccanici, è la partitura. Tre danzatori (Silvia Bastianelli, Gloria Dorliguzzo e Manolo Perazzi) si pongono in relazione con B/Robot nello spazio: chi comanda veramente? La formula narrativa, se dev’essere, appartiene allo spettatore, alla sua libertà. Un lavoro ancora in fieri e interessante per le potenzialità che offre al movimento, alla sua catarsi interpretativa. Bella intuizione di Ariella Vidach e Claudio Prati con il team di programmatori (computer, luci, suoni) di AIEP per questo HABIT data, nuova produzione che ha vissuto i suoi primi trenta minuti embrionali al Teatro Studio del LAC. Il debutto è previsto alla fine del 2017. Un’opera aperta.
Il borderline fiammingo di Tom Struyf
In questa carrellata non può mancare Another Great Year For Fishing, uno dei due spettacoli proposti al FIT da Tom Struyf, geniale artista belga. Il particolare di questo spettacolo è dato da un sorprendente uso dei media, un montaggio filmato di interviste (lo psicoanalista, l’antropologa, il manager, il giornalista…) accanto a una drammaturgia del movimento con la parola narrata: storie superficiali che sfiorano il nonsense ma che rivelano uno sdoppiamento tra finzione e realtà. Il titolo ci ricorda le primissime visioni di Bob Wilson e la precoce avanguardia di John Cage, peraltro presente nella colonna sonora. Struyf si fa accompagnare da una danzatrice, Nelle Hens, con cui tesse una complessa trama fisica in una performance di equilibri di corpi protesi alla ricerca della posizione eretta senza mai raggiungerla e in un’astrusa serie di movimenti eseguiti in un’estenuante declinazione. Una prova che richiede perfezione in una continua logica della trasformazione. Un esempio che la dice lunga sulla contemporaneità dell’arte nel dialogo tra discipline, nella ricerca di riflessioni incrociate. Illuminante.
Questa edizione del FIT ha anche offerto un’avvincente panoramica di drammaturgia squisitamente teatrale che merita un discorso a parte. Lo faremo nel prossimo numero.