L’incontro del Festival Internazionale del Teatro del 2016 con LuganoInScena ha indubbiamente portato alla stagione ufficiale una serie di slanci verso quel «nuovo teatro» che può far storcere il naso ai puristi ma che, in definitiva – sebbene con un certo ritardo – permette al pubblico di aprirsi alle attuali tendenze: espressione di una comunicazione che se per molti attinge a un lessico teatrale inusuale, provocatorio e sorprendente, è pur sempre il linguaggio dell’arte in senso lato. Definirne contorni o regole è puro esercizio, spesso arbitrario, ma caratteristica di ogni ciclo generazionale.
Il cartellone del LAC ha così recentemente inaugurato un Focus intitolato «Domani» che, come ha spiegato Carmelo Rifici, si propone di avvicinare il pubblico a «un teatro che si interroga sulle nuove forme della comunicazione, sull’invasione delle tecnologie, dei social, che pone lo spettatore al centro del proprio lavoro». Ma con approcci diversi. Si va da Nachlass dei Rimini Protokoll (da poco andato in scena al Padiglione Conza) a Remember The Dragons del gruppo belga Berlin (21-25 marzo) per passare a Nettles, ultima creazione della compagnia ticinese Trickster_P (11-15 aprile) e concludere con Five Easy Pieces di Milo Rau (13-14 aprile). È bene notare che vi prevalgono produzioni svizzere.
A cominciare da Nachlass di Stephan Kaegi e Dominic Huber, parola che in tedesco significa «lascito, eredità» o, in altri termini, che cosa resta di noi dopo la morte. Ma anche, che cosa immaginiamo possa restare nella memoria del prossimo dopo l’ultimo viaggio. «Nachlass è un teatro senza attori», una definizione aderente alla sua natura di installazione, una costante di molte opere site specific, le espressioni artistiche concepite per luoghi particolari. In questo caso il collettivo guidato dal solettese Stefan Kaegi ne è un esempio emblematico già a partire dal 2000, anno di nascita dei Rimini Protokoll. Nachlass consiste in otto testimonianze distribuite in altrettante stanze arredate con oggetti.
Attraverso un documento audio (in alcuni casi anche video) il pubblico si accomoda e ascolta una voce raccontare la propria vita come per un ultimo saluto. Ecco così la vita di un ingegnere e spericolato base jumper, quella di uno scienziato, di un’ambasciatrice dell’UE nel Terzo Mondo, di un impiegato, di un commerciante in pensione, di una segretaria, di un grafico e di un anziano bancario con la moglie. Storie diverse e molto personali in cui si intrecciano la malattia, l’età o il rischio. Storie dove la morte aleggia in un archivio virtuale di tracce da condividere e dove la riflessione del fruitore diventa protagonista.
Arrivederci Geppetto!
Dopo una lunga tournée e una cinquantina di repliche accolte da un grande successo di pubblico e di critica, si sono concluse a Locarno le rappresentazioni di Geppetto e Geppetto, Premio Ubu 2016 per il Miglior progetto o Novità drammaturgica, scritto e diretto da Tindaro Granata. In scena per la stagione di CambusaTeatro (nella sua nuova casa dello Spazio Elle di Locarno), lo spettacolo nato dalla penna del giovane artista siciliano è la storia inventata – ma non troppo – di una coppia omosessuale che decide di avere un figlio da un «utero in affitto». Un tema forte e sensibile che diventa il manifesto di uno scontro culturale e sociale di assoluta attualità.
Ottimo attore, oltre che drammaturgo e regista, Granata ha il pregio di offrire una recitazione brillante, spontanea e di grande intensità con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea e Roberta Rosignoli.