Dove e quando
Franca Ghitti scultrice. Museo d’arte Mendrisio. Fino al 15 luglio 2018. Orari: ma-ve 10.00-12.00/14.00-17.00; sa, do e festivi 10.00-18.00; lu chiuso, tranne festivi. www.mendrisio.ch/museo

Franca Ghitti, Madia, legno, fili di ferro (Archivio Franca Ghitti, Cellatica, foto Stefano Spinelli) 


La materia e l’uomo

Il Museo d’arte Mendrisio ospita le sculture di Franca Ghitti
/ 21.05.2018
di Alessia Brughera

Nonostante gli esordi come pittrice, la sua irresistibile attrazione per la matericità conduce presto Franca Ghitti, nata in Valcamonica nel 1932 e scomparsa nel 2012, a dedicarsi all’arte scultorea. Complice la grande segheria paterna, dove fin da piccola osserva i processi e le tecniche di lavorazione del legno, l’artista lombarda trae ispirazione dagli elementi della tradizione avvicinandosi soprattutto alle componenti di scarto e agli oggetti più umili o logorati dall’uso. La Ghitti recupera vecchie assi lignee, avanzi di falegnameria, chiodi, residui metallici abbandonati nelle antiche fucine della sua valle per poi ricomporli in nuove sagome, ampliandone la valenza di materiali fortemente legati a quelle attività artigianali primarie e universali che hanno costruito l’identità dell’uomo nel corso dei secoli. È il modo, questo, che l’artista sceglie per soddisfare il bisogno di sviscerare e insieme conservare la cultura della propria terra, di riscoprire la propria storia svelandone memorie, riti e misteri.

Nella sua vita di spirito appartato e schivo, amante della solitudine, non mancano affacci importanti su scenari ricchi di stimoli: la Ghitti studia all’Accademia di Brera, frequenta l’Académie de la Grande Chaumière a Parigi, segue i corsi di incisione dell’irrequieto maestro austriaco Oskar Kokoschka a Salisburgo, vive in Kenya per due anni confrontandosi con gli idiomi delle comunità tribali. Eppure il mondo costantemente richiamato nelle sue sculture rimane quello della Valcamonica, esplorato e traslato nello spazio e nel tempo odierni per farne emergere i tratti più autentici.

L’universo della Ghitti è quello dell’antichissima popolazione dei Camuni, che per millenni ha inciso i massi di arenaria levigati dai ghiacciai facendone immense lavagne su cui lasciare tracce della propria vita quotidiana e spirituale. È quello delle pievi medioevali, delle edicole votive lungo le strade e degli affreschi nelle chiese, dei magli e dei mulini, del povero mobilio rurale e dei semplici strumenti del mestiere artigianale. L’artista riconosce la ricchezza del proprio territorio e ne raccoglie le suggestioni edificandoci sopra tutta la propria poetica. Le sue sculture rimandano ai saperi e alla laboriosità della civiltà di un tempo, riproponendone i valori con un linguaggio peculiare in cui l’eredità del passato convive con l’estetica moderna.

Le iconografie e i simboli di culture antiche vengono ripresi e attualizzati dall’artista attraverso uno stile fondato sul senso della misura e su una precisa organizzazione compositiva. L’obiettivo, come dichiarava la scultrice stessa, è quello di «trasformare uno spazio geometrico in uno spazio storico» intriso dei gesti e delle cadenze di un mondo contadino innalzato a emblema dell’umanità. La Ghitti sbozza forme semplici, essenziali, in cui il volume viene bandito a favore di una bidimensionalità dalla primitiva immediatezza: con il legno e con il ferro crea superfici e tavole su cui si dispiega silenziosa la vicenda umana.

A organizzare la prima mostra antologica svizzera dedicata all’artista camuna è il Museo d’arte Mendrisio, nelle cui sale sono raccolti oltre cinquanta lavori della Ghitti che ripercorrono le tappe salienti della sua produzione plastica.

L’itinerario espositivo ha inizio con la serie delle Mappe, soggetto molto caro alla scultrice, proposto fin dai primi anni Sessanta e ripreso più volte nel corso del tempo. Si tratta di opere ispirate alle incisioni rupestri della Valcamonica reinventate dalla Ghitti con un personale alfabeto segnico impresso su grandi legni di recupero. Qui forme geometriche imperfette rimandano ai graffiti preistorici, tracciando percorsi misteriosi e senza meta che riportano a un’epoca lontana in cui la misurazione dello spazio era precaria e approssimativa.

Altro gruppo di sculture lignee particolarmente significativo è quello delle Vicinie, evocativo già nel nome del senso sociale di appartenenza tipico delle comunità del passato, legate da solidi vincoli di aiuto reciproco. Sono lavori che mettono in scena, come piccoli teatri, il mondo contadino con i suoi culti e le sue credenze: le strutture, scandite con estremo rigore dall’artista, sono popolate da processioni di figure arcaiche austere e insieme concrete, a richiamare una devozione rispettosa e schietta.

Analoghi nel loro restituire il vissuto agreste sono anche le serie delle Madie e delle Edicole, opere in cui la Ghitti attua un vero e proprio colloquio con le cose raccontando attraverso oggetti di uso quotidiano intagliati nel legno e collocati meticolosamente in ordinati scomparti le esistenze misere ma dignitose delle antiche collettività rurali.

Quanto l’artista si misuri anche con un repertorio formale più dinamico e in dialogo con l’ambiente circostante lo dimostrano i Tondi , sculture circolari realizzate con carta chiodata, legno inciso o tessere di rame, e le opere appartenenti al ciclo Alberi e Bosco, in cui le geometrie squadrate e orizzontali lasciano il posto a profili ascensionali, vicini ai fluidi ritmi di Constantin Brâncuși conosciuti e apprezzati dalla Ghitti nel periodo parigino.

La rassegna mendrisiense dà testimonianza anche delle sculture eseguite con gli scarti del metallo, materiale utilizzato dall’artista in maniera preponderante dalla fine degli anni Ottanta: con gli sfridi, i residui caduti dall’incudine, crea installazioni leggere e luminose, come la Cascata (1995) o gli Alberi-Vele (2000) che accolgono il visitatore nel cortile del museo.

Una piccola ma interessante sezione è dedicata a fine percorso alle edizioni d’arte, campo d’indagine molto amato dalla Ghitti, che tirava personalmente a mano le incisioni con il suo torchio e progettava le copertine. Tra le opere presenti troviamo volumi legati all’Africa e a scrittori e poeti a cui l’artista si sentiva affine, spesso pubblicati dall’amico editore Vanni Scheiwiller.

La Ghitti ambiva a una scultura che fosse linguaggio assoluto: con i suoi lavori ha ritrovato nelle proprie radici una conoscenza universale, ha arricchito i segni del passato di nuovi significati e così facendo ha custodito le ataviche memorie della storia dell’uomo.