La lingua dell’amore

Nella ormai affollata serie di dichiarazioni di stima per questa o quell’altra lingua, un libro di Annalisa Andreoni dedicato all’italiano
/ 02.01.2018
di Stefano Vassere

«Ma signora, che cosa mi domanda? Sono veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo. Ho soltanto bisogno d’aprire la mia bocca e involontariamente diventa il fonte di tutta l’armonia di quest’idioma celeste. Sì, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano. Impossibile immaginare che queste beate creature si servano di una lingua meno musicale».

La serie di dichiarazioni d’amore in forma di libro per una lingua o l’altra, che si infittisce in queste ultime stagioni, parte purtroppo da una specie di necessità di recupero di una situazione di declino o almeno di precarietà e da un tentativo di rivitalizzazione in forma editoriale: evviva il greco! Il latino, lingua meravigliosa! Come dire: «lingue che non si ricorda più nessuno, che nessuno più vuole studiare, eppure guardate che non sono male; recuperiamole, su!». Con questo Ama l’italiano di Annalisa Andreoni, che insegna letteratura italiana all’Università Iulm di Milano, sembra finito in questa rete anche l’italiano, che nel risvolto di sinistra è definito quella lingua dell’amore, delle arti e dell’armonia che gli italiani tendono «a dare per scontata», dimenticandone i pregi o abbandonandola tout court in un angolino per accogliere invece con tutti gli onori e i trionfi i codici del nuovo imperialismo: l’inglese, il cinese, chissà quale altro.

Però, se si ha la pazienza di schivare il peritesto, cioè i dintorni del testo in senso stretto, se si ha l’accortezza di chiudere un occhio sul risvolto stesso, pieno di complimenti ed espressioni caramellose e sulla copertina con quella silhouette dantesca in basso; superata l’impressione nettissima e fasullissima che questo libro potrebbe stare insieme alla serie di libri che troviamo negli autogrill, tra istruzioni per comunicare in modo efficace, maialini a molla, torri di cioccolatini e collezioni complete di Mina a 9,99; ecco, uff!, se si ha tutta questa montagna di pazienza, aperto il libro, si scoprono molte belle e preziose cose.

Per esempio il primo capitolo, «La lingua degli angeli», dove c’è tutta la tradizione di apprezzamenti internazionali, e di grande respiro, sul favore del quale la nostra lingua ha goduto per secoli e le strade attraverso le quali essa può continuare ad avere qualche interesse di scambio: l’ipotesi secondo la quale sarebbe inutile rincorrere la rendita di valore economico (la partita è improba e persa in partenza) e ben più produttivo sarebbe invece cavalcare i valori slow, che sono ancora tutti da definire ma grazie ai quali sembra ci sia un sacco di gente che come Julia Roberts in Mangia prega ama (film del 2006) impara l’italiano senza averne interesse spendibile concretamente ma solo per sentirsi «sexy e felice».

Poi, tra il molto altro, il libro della Andreoni contiene anche argomenti convincenti su un terreno che i più ritengono scivoloso e sul quale i linguisti si avventurano malvolentieri, col timore di finire a gambe all’aria: il terreno della tanto supposta quanto suprema musicalità dell’italiano.

Finalmente, verrebbe da dire, una che si lancia spavalda e ferma a spiegarci dove sta tutta questa musica, che il mondo ha sempre riconosciuto alla nostra lingua: il sistema vocalico, «pochi suoni dal timbro differente, ma marcato e sonoro, che passano dal chiaro allo scuro costituendo quasi una tavolozza di colori primari e secondari»; il fatto che l’italiano pronuncia chiaramente le vocali che non portano l’accento e non le sacrifica risolvendole in una sorta di gemito indistinto e impercettibile; il fatto che l’accento tonico possa cadere in una parola sulla penultima sillaba, ma anche sull’ultima, sulla terzultima e sulla quartultima (altro che i francesi, tra gli altri, che troncano sempre sull’ultima), ciò che permette una continua sorpresa ritmica come nella musica; il fatto infine che le parole terminano di regola con una vocale, dunque, «piena» seppure non sempre tonica. Musica pura.

Bibliografia
Annalisa Andreoni, Ama l’italiano. Segreti e meraviglie della lingua più bella, Milano, Piemme, 2017.