«Questa sola si resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e non partorisce mai figliuoli eguali a sé»; è una delle tante definizioni di pittura che si ritrova nel poderoso Trattato della pittura di Leonardo, che però è pittore poco prolifico: oggi gli sono attribuite meno di venti opere. Il motivo lo spiega Vincent Delieuvin, conservatore e responsabile del Dipartimento della pittura italiana del XVI secolo al Louvre: «Leonardo possiede un metodo di lavoro molto particolare, soprattutto quando lo si paragona a grandi artisti, suoi contemporanei, come Raffaello, che è molto più veloce; invece Leonardo riflette, realizza dei disegni e poi comincia a dipingere ma gli occorre sempre molto tempo. Questo è un aspetto che abbiamo scoperto meglio in questi ultimi anni grazie a nuovi esami di laboratorio, che hanno rivelato molti ripensamenti durante l’esecuzione pittorica, in particolare nei suoi ultimi dipinti, come la Gioconda. Queste analisi ci dicono che Leonardo non si ferma mai, ritoccando a più riprese per esempio il paesaggio e la veste della Monna Lisa; il quadro è per lui come una partizione musicale e ogni nota è importante, per cui si riserva sempre la libertà di cambiare idea*». Capolavoro dunque, ma incompiuto, come molti altri, perché con il perfezionista Leonardo l’incompiutezza entra a far parte del linguaggio pittorico.
Alla sua morte, avvenuta il 2 maggio 1519 ad Amboise, la Gioconda – insieme alla Sant’Anna e al San Giovanni Battista – passerà nelle mani di Francesco I, finendo poi nelle sale del castello di Fontainebleau.
Un ritratto rivoluzionario già per i contemporanei di Leonardo: Giorgio Vasari, nel 1550, la definisce opera divina, più che umana, ammirandone la resa realistica dei dettagli in grado di restituire la vita a quel volto sorridente, un effetto ottenuto grazie alla sovrapposizione di velature di colore di cui Leonardo è maestro. Alla tecnica dello «sfumato» si aggiunge la cura della composizione, l’innovativa posa non frontale, lo sguardo obliquo, il contrappunto fra le mani e il volto che suggeriscono le passioni dell’anima di Lisa Gherardini, borghese fiorentina moglie di Francesco del Giocondo.
Ma di questo miracolo pittorico pochi possono beneficiare; la Gioconda finirà a Versailles nelle collezioni reali con Luigi XIV, dimenticata in favore del Cenacolo, l’opera più accessibile di Leonardo. Finché la Rivoluzione francese cambierà anche il destino della Gioconda; selezionata per il Louvre, vi entrerà definitivamente nel 1804 dopo una sosta temporanea negli appartamenti di Napoleone. Con la riscoperta del genio leonardesco la Gioconda comincia ad attirare l’attenzione: grazie alle copie e alle stampe la sua immagine si diffonde rapidamente. Nella seconda metà del secolo sarà oggetto di un culto letterario che culmina con le famose descrizioni Théophile Gautier e Walter Pater. Sfinge di misteriosa bellezza, (inverosimile) «femme fatale» dallo sguardo inquietante: tutto si dirà di questo volto che racchiuderebbe un enigma, mai risolto.
«Il presunto segreto celato nella Gioconda – sottolinea ancora Vincent Delieuvin – è sempre legato a una interpretazione non corretta dell’immagine dell’opera o degli esami scientifici compiuti sul dipinto: persone che non hanno l’abitudine di analizzare questi dati scientifici e tecnici hanno letto in questa opera elementi che non esistono; al Louvre, ancora oggi, ci giungono decine di lettere e dattiloscritti che pretendono di spiegare il mistero della Gioconda».
Sarà però il clamoroso furto del 1911 dell’italiano Vincenzo Peruggia a farne il dipinto più famoso al mondo. Riportata «a casa» nel 1914, dal Louvre non si muoverà più, esclusi una tournée negli Stati Uniti negli anni Sessanta e un viaggio in Giappone pochi anni dopo. Nel frattempo il mito era stato dissacrato; celebri le irriverenti «caricature» di Duchamp e Dalì, fino alle rivisitazioni di Basquiat, Haring, Botero e Warhol. Saranno poi il cinema, il fumetto, la musica pop, la moda e la pubblicità ad appropriarsi della Monna Lisa.
Punto di arrivo nella produzione di Leonardo, la Gioconda è un dipinto in cui confluiscono i risultati degli studi compiuti dal genio del Rinascimento sul piano della teoria pittorica e su quello della ricerca scientifica, negli ambiti più disparati; dalla geologia all’ottica, dall’anatomia alla botanica. Se di mistero si tratta – un mistero che ancora oggi attira milioni di visitatori al Louvre – non è certo esoterico: «Tutti dicono che c’è un mistero – conclude Vincent Delieuvin – e c’è infatti, perché il sorriso di Monna Lisa è di una tale sottigliezza, di una tale complessità da lasciare aperto il messaggio che questo volto vuole trasmettere a ognuno di noi; in questo sorriso c’è una libertà di interpretazione immensa, più grande forse rispetto al celebre sorriso dell’ignoto marinaio di Antonello da Messina». Come ogni ritratto, anche la Gioconda insomma è uno specchio in cui si riflette la nostra finitezza, ma anche la possibilità di dilatarsi oltre i nostri limiti.
Nota
* Dichiarazioni tratte dall’intervista realizzata per la Radiotelevisione svizzera – RSI.