Dove e quando
The House2012, Karin Borgouths. Chiasso, Galleria Cons Arc. Ma-ve 9.00-12.00; 14.00-18.30, sa 9.00-12.00. Fino all’8 dicembre. consarc.ch


La catarsi dopo le fiamme e la distruzione

Ancora una settimana per ammirare le impressionanti immagini realizzate da Karin Borgouths dopo l’incendio che ne ha distrutto la casa di famiglia
/ 02.12.2019
di Giovanni Medolago

C’è una data precisa che indica la genesi della mostra che la Galleria Cons Arc di Chiasso (XI edizione Biennale dell’Immagine) dedica alla fotografa belga Karin Borghouts. È il 13 marzo 2012, quando la sua casa a Kappelle – nelle Fiandre, dov’è nata 60 anni or sono, dove è cresciuta e dove ancora abita sua madre – è quasi completamente distrutta da un incendio. La mamma fortunatamente si salva, però nell’appartamento devastato dalle fiamme tutto è andato perduto: gli arredi e gli oggetti d’uso quotidiano, ma soprattutto sono andati in fumo i ricordi e le emozioni vissute da bambina e da ragazza.

L’occhio di Karin, che sino a quel momento ha lavorato principalmente quale fotografa nell’ambito dell’architettura, coglie la doppia opportunità offertale dal tragico evento: con la sua apparecchiatura e l’esperienza professionale accumulata a contatto con palazzi case e appartamenti può da un lato testimoniare l’accaduto. D’altra parte, forse soprattutto, il suo lavoro tra cenere e fuliggine avrà un valore altamente simbolico, quasi catartico. Fra i tanti modi possibili di elaborare un lutto, la Borghouts sceglie quello di «tornare sul luogo del delitto» per rendersi ben conto che una pagina della sua vita si è chiusa per sempre. È un drammatico taglio del cordone ombelicale, un’emozionante esplorazione dell’invisibile, un cesello «sulle cicatrici che contengono e nascondono la bellezza delle cose» (A. Van den Braembussche).

La prima immagine che troviamo entrando alla Cons Arc ci ricorda lo specchio della strega nella favola di Biancaneve. C’è qualcosa di sinistro nella foto; un alone di mistero che fa sorgere spontanea la domanda: «Specchio specchio delle mie brame, cos’è rimasto di questo reame?» Solo nero e desolazione, verrebbe da rispondere.

È un’impressione che tuttavia svanisce appena ci si avvicina alle singole immagini, ognuna delle quali potrebbe raccontarci una storia, suscitando altresì parecchi altri interrogativi: cos’era raffigurato in quella cornice che dopo l’incendio è solo un «Black painting» che potremmo scambiare con un porta sigarette se non fosse per le bave di colore che le fiamme hanno sciolto ma che colano sulla parete? E a proposito di storie e quadri: è rimasto solo un angolino di una riproduzione, sufficiente a indicarci che quello era il poster di un Van Gogh. Qualcuno lo nota e da questa scoperta nasce l’idea per un libro: Vincent was here, appena pubblicato.

La Borghouts ci invita a visitare una casa dove, realizzata una foto in campo medio, ha poi tratto un dettaglio: è il caso del corridoio e del piatto ripreso in primo piano. Un poker di piccole immagini è dedicato a quelle «piccole cose di pessimo gusto» così facili da trovare in tante magioni: il piatto di peltro, un vaso panciuto, una Madonnina che ha salvato il Bambino dalle fiamme, perdendo però la testa. C’è l’unico autoritratto che l’artista si è concessa nella sua carriera, in cui compaiono anche il suo apparecchio fotografico e una foto di famiglia, scelta doppiamente significativa.

Colpiscono le due immagini dalle dimensioni più grandi: Chandlesticks, un serie di candelabri è ordinatamente messa in fila; nella seconda, Still Life, una cornucopia di oggetti apparentemente buttata là alla rinfusa diventa un’armoniosa composizione. Tutte realizzate con una luce naturale che ricorda quella dei maestri della pittura fiamminga, solo in alcune irrompe una stilettata di colore. Sembra di sentire la stridula voce di Federico Fellini quando ricordava il lamento dei suoi produttori: «Ma come? Vuoi chiudere il film così, senza un po’ di colore, un fascio di luce?».