Harald Szeemann - Breve biografia

Nato a Berna nel 1933, studia storia dell’arte, archeologia e giornalismo all’Università di Berna e alla Sorbona. Dal 1957 comincia ad occuparsi dell’organizzazione di mostre e a 28 anni viene nominato direttore della Kunsthalle della capitale elvetica. Qui, nel 1969, organizza l’esposizione Live in Your Head: When Attitudes Become Form, che rimarrà celebre per avere per la prima volta anteposto il lavoro degli artisti all’allestimento, creando un nuovo filone della critica d’arte basata sulla sola relazione tra le opere nello spazio espositivo. In seguito a questa mostra, abbandona la carica istituzionale, scegliendo di operare solo come curatore indipendente: proseguirà questa attività per il resto della sua vita. Nel 1972 organizza la Documenta di Kassel; nel ’99 e nel 2001 dirigerà anche la Biennale di Venezia, distinguendosi come il primo studioso ad avere curato entrambi le due principali rassegne internazionali d’arte contemporanea. Nel 1978 si trasferisce a Maggia, dove rimarrà fino alla sua morte avvenuta nel 2005. 


La Casa del Monte

Dopo un lungo e attento restauro Casa Anatta del Monte Verità è stata riconsegnata al pubblico, arricchita dal riallestimento della celebre mostra di Harald Szeemann
/ 19.06.2017
di Ada Cattaneo

Monte Verità è un luogo che da sempre ha saputo esercitare un fascino particolare sui suoi visitatori, in epoche e per ragioni diverse. A ripercorrerne le vicende non ci si capacita di quali e quanti protagonisti del pensiero contemporaneo siano arrivati in Ticino, attratti proprio dalla fama di quella collina affacciata sul Verbano. Furono forse proprio queste presenze uniche e i motivi che le attrassero ad Ascona che negli anni Settanta colpirono l’attenzione di Harald Szeemann, impegnato allora sulla scena dell’arte contemporanea più esplosiva e dirompente. Come curatore indipendente (concetto che, peraltro, era stato proprio lui ad ideare) al Monte Verità egli dedicò anni di ricerca e un’esposizione che ancora oggi rimane seminale per chi studia la storia delle mostre: Monte Verità. Le mammelle della verità, presentata nel ’78 fra Ascona e Locarno e poi in quattro sedi europee. L’esposizione avrebbe fatto ritorno nella Svizzera Italiana solo nell’81 per essere ospitata qui in via definitiva proprio sul monte che l’ha ispirata, a Casa Anatta.

L’edificio è stato riaperto al pubblico lo scorso 20 maggio dopo un importante restauro e, con esso, torna visitabile anche la mostra originale, accompagnata oggi da alcune sale introduttive che permettono ai visitatori di comprendere il lavoro di Szeemann e le ragioni di riproporre, a quasi quarant’anni di distanza, il percorso espositivo esattamente come egli l’aveva immaginato.

Lorenzo Sonognini, direttore della Fondazione Monte Verità dal 2011, spiega per i lettori di «Azione» il percorso che ha permesso di riaprire al pubblico Casa Anatta. L’architetto Geronzi invece racconta il processo di restauro dell’edificio, mentre il ricercatore e curatore Andreas Schwab spiega il percorso espositivo proposto al pubblico.

Direttore Sonognini, che cos’era originariamente Casa Anatta?
Era una casa comunitaria, pensata in parte come abitazione, ma anche per attività che coinvolgevano tutta la colonia che si stabilì qui da inizio Novecento. Vi venivano ospitati concerti, balli, spettacoli. È di per sé un edificio molto peculiare, realizzato in legno e pietra, che presentava però dei difetti di realizzazione, ad esempio un’errata inclinazione del tetto, che hanno determinato l’entrata di acqua e altri problemi. La casa sarebbe poi stata trasformata in residenza privata dal Barone Eduard von der Heydt, che nel 1926 acquisì la zona del monte, facendo poi costruire l’albergo in stile Bauhaus.

In che stato era la casa?
La casa era in condizioni disastrose. Parte dei documenti erano molto danneggiati. La situazione non era più sostenibile in alcun modo, quindi nel 2009 si decise di chiuderla, togliendone tutti gli oggetti, poi depositati altrove per garantirne la salvaguardia. Nel 2010, per non compromettere ulteriormente l’edificio, si realizzò una copertura. A quel punto si poté cominciare a impostare un restauro architettonico di tipo conservativo, trattandosi di un monumento protetto. Fra tutti i restauri necessari quello di casa Anatta tra il 2016 e il 2017 è stato il più impegnativo. Il team era composto dai tre architetti Gabriele Geronzi, Bruno Reichlin e Carlo Zanetti. Parallelamente erano già iniziati la catalogazione, il restauro e il rilievo della mostra di Harald Szeemann, in collaborazione con l’Archivio di Stato, in modo da rendere disponibili ai ricercatori tutti i documenti.

Come era nata questa mostra?
Dapprima Harald Szeemann conobbe Ingeborg Lüscher, che sarebbe in seguito diventata sua moglie. Lei aveva raccolto alcuni dei manufatti di Armand Schultess, esponente dell’Art Brut, e li aveva proposti a Szeemann che li avrebbe poi esposti alla Documenta di Kassel del 1972. Proprio da qui nacque l’interesse del curatore per il Monte Verità e il desiderio di raccontarne le vicende in un’esposizione. Andò dunque alla ricerca di documenti, oggetti, testimonianze e di tutto quanto riuscì a reperire. Ciò che si può visitare oggi non è una mostra creata ex-novo, ma esattamente l’esposizione originale restaurata.

Architetto Geronzi, quali sono le caratteristiche dell’edificio storico con cui avete avuto a che fare?
L’edificio è stato voluto nel 1904/05 dai primi coloni del Monte Verità, Ida Hofmann e Henri Oedenkoven. La base è in pietra, ma il resto è interamente in carpenteria lignea, con delle coperture piane. Rispetto all’epoca di realizzazione, non esiste qualcosa di analogo in Ticino. I materiali si ritrovano nell’architettura vernacolare, ma qui sono usati in modo del tutto avulso dal contesto culturale locale. Rispetto alla situazione attuale, si accedeva all’edificio dai piani alti, provenendo quindi dalla casa centrale e da tutto il gruppo delle capanne aria-luce, poste sulla sommità della collina: il rapporto con il complesso era del tutto diverso.

Come si è sviluppato l’edificio nei decenni?
Nella fase di preparazione del restauro, grazie ai documenti storici, abbiamo ripercorso tutto lo sviluppo cronologico della casa. È stato individuato il nucleo originario e poi tutte le aggiunte fatte successivamente, all’inizio degli anni Venti e dopo l’arrivo del Barone. Questa fase, quella di von der Heydt, è diventata il momento di riferimento del restauro, anche perché successivamente i cambiamenti sono stati pochi e non significativi. Il momento storico a cui ci siamo riferiti è quindi tra il 1926 e il 1930 quando il barone fece le trasformazioni necessarie ad avere una casa d’abitazione.

Quali sono stati i cambiamenti più sostanziali?
Il grosso cambiamento è stato sulle coperture. La casa presenta un tetto piano che è molto importante nella storia dell’architettura: Sigfried Giedion, teorico e storico dell’architettura, nel suo testo Befreites Wohnen del 1929 l’aveva citato come uno dei primi tetti piatti praticabili dell’architettura europea. All’inizio del Novecento era ricoperto da lastre di zinco, quindi impraticabile d’estate, ma Von der Heydt lo trasformò. Nel tempo poi l’infiltrazione di acqua sommata al degrado ha causato danni ingenti.

Il lavoro su Casa Anatta non è stato però l’unico intervento.
Dal 2004 in poi abbiamo restaurato l’albergo, Casa Selma, Casa dei Russi e sono previste ulteriori tappe in futuro. Si tratta di una serie di edifici connessi fra di loro, e gli aspetti che abbiamo osservato in un determinato edificio, ci sono stati utili negli altri interventi. Abbiamo trovato molte caratteristiche non notate in precedenza, legate a uno sviluppo unitario del Monte Verità e che adesso ne arricchiscono la conoscenza fornendo materiale per gli studiosi.

Che tipologia di restauro avete svolto?
Tutto il processo è stato fatto con la collaborazione dell’Ufficio dei Beni Culturali, un interlocutore fondamentale per noi progettisti. La massima attenzione è dunque andata alla conservazione, nel tentativo di migliorare la tenuta dell’edificio nel tempo. Importante è stato dotare l’edificio di tutti gli impianti necessari per la conservazione dei materiali storici esposti (climatizzazione, allarmi, ecc), «camuffandoli» in modo da non danneggiare l’immagine originaria dell’edificio.

Il curatore Andreas Schwab, che già dal 1998 si occupa nei suoi studi del lavoro di Harald Szeemann, ha spiegato il processo di riallestimento della mostra Monte Verità. Le mammelle della verità e il concetto alla base delle nuove sale introduttive.

Come mai Szeemann si appassionò alla storia del Monte Verità?
Si trattava di un tema che lo appassionava perché da sempre si era interessato al concetto di anarchia, alle utopie e alle vicende di personaggi che avevano deciso di vivere ai margini della società creando comunità a sé. Cominciò quindi a raccogliere i materiali per creare un’esposizione dedicata al Monte Verità. Allora erano ancora in vita alcuni dei personaggi che ne avevano determinato la storia, come la danzatrice Charlotte Bara, di cui ebbe modo di raccogliere la testimonianza. Si trattò di un enorme lavoro di ricerca svolto a partire dal 1976 e confluito nella mostra del 1978.

Dove fu presentata la mostra per la prima volta?
Come si vedrà nei nuovi spazi appena aperti, fu esposta in diversi luoghi del Locarnese: al Museo Comunale di Ascona, al Collegio Papio, alle Isole di Brissago e naturalmente a Monte Verità. Quindi, per lo più in luoghi «inconsueti» per un’esposizione, dato che egli era interessato a esporre al di fuori dei musei. In seguito la mostra fu presentata a Zurigo, Berlino, Vienna e Monaco. Nel 1981 tornò ad Ascona, ma non nella versione integrale, poiché era stato necessario restituire gli oggetti presi in prestito da collezioni pubbliche e private. Fu quindi concepita una versione apposita per Casa Anatta.

Come avete affrontato il riallestimento dopo il restauro dell’edificio e dei materiali?
Non volevamo confrontarci con il lavoro di Szeemann, che è oggi un punto di riferimento assoluto in ambito curatoriale. Quindi, come da contratto con la sua famiglia, non ci sono stati cambiamenti alla sua mostra: essa è rimasta esattamente come era stata concepita da lui. Abbiamo solo fatto interventi di restauro e di pulizia, ma il concetto non è stato in alcun modo toccato.
Esistono, invece, quattro nuove sale che mi sono occupato di allestire e in cui ho presentato la biografia di Szeemann e le ragioni che ci hanno condotto a riproporre nel 2017 una mostra creata negli anni Settanta. È infatti importante che il pubblico capisca che oggi l’allestimento di Casa Anatta è l’unica mostra realizzata da Harald Szeemann conservatasi fino ai giorni nostri.

Come si presentano le nuove sale?
Negli spazi introduttivi lo stile e il concetto espositivo è diverso dalla mostra principale: abbiamo usato tutti i mezzi tecnologici e di comunicazione a disposizione oggi, come per esempio i touch screen che permettono di rendere consultabili moltissimi documenti. Tutto questo serve a capire il metodo di lavoro di Szeemann, che ho avuto modo di osservare personalmente e che mi ha talmente affascinato da essere la base principale per i miei studi su di lui e per questo lavoro di conservazione e valorizzazione del suo operato.