Come ogni anno la stagione culturale ginevrina si apre con il botto grazie all’ormai imperdibile Festival La Bâtie. Per più di due settimane e ricco di una cinquantina di progetti, il mitico festival sul Lemano solletica i sensi di un pubblico variegato grazie a una programmazione audace che propone una panoramica a 360 gradi del meglio delle arti della scena. Un progetto ambizioso capitanato da Claude Ratzé, direttore artistico della manifestazione, che non indietreggia di fronte a nulla, tanto meno alle critiche che fanno parte del gioco quando si decide di prendere le redini di un festival come La Bâtie.
Per la sua seconda edizione (e la 43esima del festival), Ratzé ha deciso di stupire il pubblico con un programma che dà spazio alla musicalità (in senso lato), alle storie famigliari e al vagabondaggio. Temi importanti e attuali che diventano uno specchio della nostra società sempre più frenetica e friabile.
Il vagabondaggio non rappresenta per quest’ultima edizione solo uno spunto tematico ma anche una realtà legata alle innumerevoli sale che hanno accolto e che hanno fatto viaggiare gli spettatori. Da un lato all’altro del Canton Ginevra, nella vicina Francia ma anche a Nyon e a Losanna, La Bâtie ha come sempre colonizzato sale di spettacolo insolite e sorprendenti. Gli spettatori più temerari sono stati accolti nell’opulento e nuovamente ristrutturato Grand Théâtre de Genève per Einstein on the Beach (v. articolo sopra, NdR), in piena natura grazie allo spettacolo Life in the Universe del collettivo danese hello!earth o ancora trasportati in bus dal lago Lemano fino a un metaforico mare (Rémi Dufay con il suo D’amour et d’eau fraîche). Insomma, La Bâtie riesce anche quest’anno ad abbattere le frontiere e a farci viaggiare, mostrandoci che le arti della scena possono ancora inventare nuovi linguaggi e nuovi codici spingendoci verso luoghi inesplorati che non credevamo nemmeno esistessero.
Grazie a teatro, danza, musica (spettacolare il concerto di Kap Bambino), serate clubbing, performances ma anche luoghi di ristoro decisamente arty e mercati bio 2.0 proposti dal collettivo Karibou, la 43esima edizione de La Bâtie ha permesso al pubblico di immergersi in un universo artisticamente pantagruelico dai sapori inattesi. Quest’anno il QG del festival si è annidato tra le mura della sempre vibrante Maison communale di Plainpalais dove un sorprendente ristorante effimero capitanato da Cédric Riffaud e allestito dalla creatrice Anne-Cécile Espinach ha deliziato i palati dei festivalieri. Da segnalare anche i banchetti performativi organizzati la domenica dal collettivo Domingo composto da quattro giovani artiste interessate al legame tra cibo e arti visive.
Le frontiere fra le discipline e le generazioni sono abbattute, come a volerci ricordare che dietro ogni grande artista si nasconde il giovane talento che è stato. La programmazione della 43esima edizione rispecchia questo credo proponendo creazioni di artisti emergenti come Anna Lemonaki, Marie-Caroline Hominal e Marion Siefert e talenti già confermati del calibro di Peeping Tom, Philip Glass, Cindy Van Acker o la compagnia Marius che ha stordito (nel senso positivo del termine) gli spettatori con la trilogia di Pagnol (Marius, Fanny, César) di ben 250 minuti. La resistenza del pubblico è stata nuovamente messa alla prova in un altro attesissimo spettacolo, Tous les oiseaux del regista teatrale libano-canadese Wajdi Mouaward. Il suo spettacolo è un viaggio incandescente tra le lingue e le culture e attraverso il tempo.
Altro grande momento di questa edizione è stato il monologo Perdre son sac di Pascal Rambert, messo in scena da Denis Maillefer (codirettore della Comédie di Ginevra) e interpretato con un’intensità rara dalla giovane attrice Lola Giouse per la quale il regista ha scritto il testo. Il potente testo di Rambert ci confronta con brutale sincerità all’assurdità e alle ingiustizie della nostra società liberale, ma anche all’amore inteso come grido doloroso impossibile da condividere. Sorprendenti ed esilaranti anche i sempre grandiosi Jerôme Bel, con il suo Rétrospective, lavoro che unisce brevi sequenze filmate dei suoi spettacoli passati, e la compagnia belga Peeping Tom che ha presentato sulla scena dell’Esplanade du lac di Divonne-les-Bains Kind, ultima parte della loro impressionante trilogia che comprende Vaeder e Moeder. Kind è un viaggio misterioso tra sogno e realtà nei meandri della mente di un essere in piena mutazione, dall’adolescenza all’età adulta.
Molti anche i giovani talenti che hanno saputo stupire il pubblico della Bâtie grazie a spettacoli innovativi che rompono con i codici formali della scena. Tra questi David Marton, ungherese ma berlinese d’adozione, che con il suo Narcisse et Echo mescola sorprendentemente repertorio musicale e teatro, sorta di opera moderna e disinibita abitata da cinque interpreti al contempo attori, cantanti e musicisti. In un registro più volutamente DIY ritroviamo la greca Anna Lemonaki con Blue e Fuchsia Saignant, prime due parti di una trilogia autobiografica tra schizofrenia sentimentale e umorismo nero.
Sorprendente e fresco anche Rémi Dufay con il suo D’amour et d’eau fraîche, uno spettacolo al quale assistere seduti in un bus mentre due attrici discutono della loro vita e dei cambiamenti che le allontaneranno inevitabilmente. Scoppiettante e spiazzante Le Grand Sommeil della francese Marion Siéfert che mette in scena un’adolescente di undici anni interpretata dalla ballerina e performer Helena de Laurentis. Con il suo lavoro, Marion Siéfert scruta con coraggio le ambiguità dell’infanzia. Tra le proposte improbabili ma decisamente riuscite impossibile non citare anche François Chaignaud e Marie-Pierre Brébant che nel loro Symphonia Harmoniae Caelestium Revelationum hanno interpretato in diretta, e nella loro integralità, le 69 melodie composte da Ildegarda di Bingen, badessa, guaritrice, profetessa e poetessa del XII secolo.
Insomma, una 43esima edizione potente e rigenerante che abbatte le frontiere: delle arti della scena ma anche di genere e geografiche spingendoci a riflettere sul significato della parola «normalità» in un mondo che ci vorrebbe tutti tristemente uguali.