Per tutti gli amanti della classica è l’evento musicale dell’anno. Giovedì Riccardo Muti sbarca al LAC al timone della «sua» Chicago Symphony Orchestra, mitica corazzata americana considerata assieme ai Wiener e ai Berliner Philharmoniker la migliore orchestra al mondo. Formazioni, queste due, che il direttore artistico Etienne Reymond è riuscito a portare nel cartellone di Lugano Musica la scorsa stagione, guidati da Tilson Thomas e Harding. Ottime bacchette, ma imparagonabili per carisma, storia e classe assoluta a Muti. Il quale, dopo mezzo secolo speso sui più prestigiosi podi del mondo, aveva giurato innanzitutto a se stesso e al mondo che non avrebbe più assunto incarichi stabili. «Me l’ero promesso davvero. Nel 1968 ero stato chiamato dal Maggio Musicale Fiorentino, poi Londra, Philadelphia, i vent’anni alla Scala. Dopo si era fatta avanti per due volte la New York Philharmonic, ma avevo declinato. Però nel 2007 tornai a suonare con la Chicago a 34 anni dall’ultima volta che l’avevo diretta».
Galeotta fu quella tournée: «Lì scattò qualcosa: fu un incontro straordinario dal punto di vista squisitamente artistico, ma anche a livello umano. Furono sessanta gli orchestrali che mi scrissero una lettera per esprimermi la loro gioia di aver condiviso quell’esperienza. Dopo poco tornai per un altro concerto e poco dopo ancora accettai di diventarne direttore musicale». Il decimo nei 129 anni di vita dell’orchestra: «Ho ricevuto un’eredità gloriosa e onerosa: i miei predecessori sono stati dei giganti dell’interpretazione e sono arrivati a Chicago non a inizio carriera, ma nel pieno della maturità: Kubelik, Solti, Barenboim, Haitink, Boulez. Questa tradizione ha reso la Chicago l’orchestra più famosa e carismatica d’America». D’America, seppure almeno agli inizi d’indole europea: «Si può addirittura dire tedesca. Theodore Thomas, che fondò l’orchestra nel 1891, era un violinista nato in Germania; tedesco fu anche il suo successore, Frederick Stock. Non a caso molte musiche europee ebbero la prima americana proprio a Chicago».
Ma quanto un direttore, pur con una personalità artistica molto forte, può influire su un’orchestra con una storia, un’identità e un carisma così spiccati? «Non la si può snaturare, ma ogni direttore comunica una sua cifra, lascia il segno con un suo accento particolare. Solti esaltò la muscolarità e l’enfasi della potenza sonora di una formazione già celebre per i suoi straordinari ottoni, con Barenboim ha maturato un equilibrio maggiore tra ottoni, archi e legni. Per quanto mi riguarda, penso di aver aggiunto un fraseggio e una lucentezza del suono che prima mancavano; l’ho fatto attraverso l’opera italiana, che i musicisti hanno mostrato di amare molto; a Chicago abbiamo approfondito Verdi con Macbeth, Falstaff e Otello, circa un mese fa è stata la volta di Cavalleria rusticana».
L’orchestra nasce nel 1891 e già all’inizio del nuovo secolo diventa di riferimento; la Chicago di quegli anni viene raccontata in una prospettiva un po’ diversa dal cinema... «Già, i gangster, la criminalità organizzata... Le notti di Chicago fu il primo gangster movie; però sa dove debuttò la prima direttrice afro? Proprio a Chicago, Margareth Harris nel 1971; e la prima volta di una donna scelta come prima parte di un’orchestra? Ancora Chicago, la cornista Helen Kotas nel 1941. Chicago è il cuore moderno dell’America».
Muti ha rinnovato l’incarico fino al 2022, ma ci sono già pressioni perché prolunghi ulteriormente: «Mai dire mai, però nel 2022 avrò 81 anni, non mi dispiacerebbe essere più libero; il che non vuol dire non fare musica assieme, ma ci sono anche altri modi per rimanere legati. Intanto nel ’22 ci aspetta una tournée europea che farà tappa al festival di Salisburgo, a Londra, Lucerna...»
Intanto, prima del KKL, il privilegio di applaudirlo è appannaggio del pubblico del LAC; quasi un dettaglio il programma proposto, dove spicca la sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak: un altro europeo che conquistò l’America musicale.