*** BlacKKKlansman, di Spike Lee, con John David Washington, Adam Driver, Laura Harrier, Topher Grace (USA 2018)
Dopo una decina d’anni di quasi anonimato Spike Lee è risorto: il suo BlacKKKlansman introduce neri ed ebrei con noncurante e a tratti spassosa lucidità, fino all’interno della stupidità razzista del Ku Klux Klan di Colorado Springs; per non arrendersi nemmeno nell’anticamera delle stanze di Trump. Che Spike Lee non si sia mai tirato indietro di fronte alle problematiche razziali lo sapevamo. Ma qui il regista sessantenne sembra aver ritrovato molta della sua arte tutta particolare, scivolando con estrema naturalezza dai toni comici a quelli seri, per non dire tragici. S’ispira all’autenticità di un fatto clamorosamente accaduto: quello di Ron Stallworth, poliziotto afroamericano al quale riuscì l’impresa stupefacente, alla fine degli anni Settanta, d’infiltrarsi nel Ku Klux Klan degli addetti al linciaggio e alla nota tradizione razzista e antisemita. Grazie anche alla collaborazione di un collega: bianco ma ebreo…
Giocando con scioltezza sul suo thriller, che da semi-ridanciano si fa altamente significativo, al regista riesce di riprendere quanto di profetico aveva iniziato mirabilmente nel 1989 con Do The Right Thing. Si appoggia, come spesso gli è riuscito, su un uso dei suoni spettacolare, sul dilagare di musiche e risonanze ambientali, sugli accenti della parlata; a cominciare da quella dei protagonisti, Adam Driver, il compare bianco, e John David, figlio di Denzel Washington. Il risultato? Da un cinema di talento, ma tutto basato sull’istinto, si passa a un altro, ragionato, che provoca la riflessione, in quanto iscritto nella storia delle genti.
Spike Lee si diverte parlandoci del passato, talvolta senza andare troppo per il sottile (dopotutto siamo nell’epoca dei Trump), ma si rivolge soprattutto all’America di oggi, specchiandosi in quella, assai meno godibile, del feroce e stolto nazionalismo. Mostrandoci Alec Baldwin quando imita ferocemente il presidente nel corso della celebre emissione televisiva Saturday Night Live.
Non tutto coincide, nella caricatura di certi accostamenti. Ma, quasi l’avevamo dimenticato, la forza di Lee risiede proprio nell’impeto, nella rabbia, nella volontà di persuasione del suo cinema. Come quando il film si fa esplicitamente più politico, quasi brutale. Con le immagini di una pellicola cara da sempre ai membri del KKK, Nascita di una nazione (1915) di Griffith, che si confondono sul viso dell’oratore David Duke.
Nascono allora, in montaggio parallelo, le splendide immagini del racconto del novantenne Harry Belafonte (il primo fra gli attori ad aver lottato per i diritti civili) ai giovani attivisti neri: egli aveva infatti assistito al linciaggio del martire Jesse Washington, torturato e assassinato nel 1916. Le risate del film si spengono con le immagini della strage di Charlottesville dell’agosto 2017 e il ritratto di Heather Heyer, vittima a trent’anni, mentre partecipava al corteo antirazzista. Il presidente degli Stati Uniti non aveva condannato i colpevoli.