Dove e quando
Katja Snozzi, Cà méa, Lugano, Canvetto Luganese (Via R. Simen 4b). Orari: ma-sa 9.00-22.00; apertura straordinaria: dom. 21 aprile. Fino al 4 maggio 2019.

La fotografa Katja Snozzi


Katja Snozzi, il mondo in casa

La fotografa offre una lettura insolita della propria (ex) casa di Verscio
/ 08.04.2019
di Giovanni Medolago

«La s’è purtada fö!» Così ha esordito Pierre Casè presentando la mostra di Katja Snozzi, attualmente in corso al Canvetto Luganese a cura della Fondazione Diamante. La battuta ben si spiega. Dopo anni (leggi: decenni) dedicati dalla fotografa locarnese a documentare i drammi – della fame, della guerra, della povertà – puntando il suo obiettivo soprattutto sulle vittime di tali sciagure, spesso, se non sempre, innocenti; lei che in mezzo a tante tragedie è riuscita a cogliere un sorridente, quasi serafico Dalai Lama; lei che ha visto un suo altrettanto intenso ritratto diventare un manifesto della Croce Rossa…

Insomma dopo che la figura umana è stata sempre al centro del suo interesse di fotografa/reporter, improvvisamente Katja Snozzi propone un lavoro (Cà méa, con tanto di sottotitolo che recita latitudine e longitudine esatte della sua casa di Verscio) dove di figure umane non vi è traccia alcuna. Nella sua casa, Katja ha colto non solo oggetti d’uso quotidiano, bensì pure simmetrie, composizioni grafiche e accostamenti cromatici accattivanti; tutto visto con l’occhio del fotografo e la sensibilità dell’artista. Il bello è che, ironica risposta alla battuta di Casè, in una di queste foto casalinghe si legge bene quanto sta scritto sul dorso di un libro: Goethe, Dir selbst sei treu (Sii fedele a te stesso)!

Prevalgono dittici e trittici, ma la fotografa sa ricavare da una comune lampada di carta di riso una lunga serie d’immagini che ricordano i futuribili fumetti di riviste come Métal Hurlant o Frigidaire, con tratti grafici decisi e le sfumature ocra che fanno pensare alle foto d’antan virate in seppia. È possibile riconoscere una tapparella dalle lamelle non chiuse abbastanza da impedire l’irrompere di luci e ombre, o ancora un ripiano della libreria.

Altre volte siamo di fronte a immagini così astratte (batuffoli bianchi che volteggiano su uno sfondo assolutamente nero) che persino lo spettatore più curioso rinuncerà a chiedersi «E questo cos’è?» per lasciarsi trasportare e fantasticare su che cosa potrebbe esserci al di là dell’inquadratura, da quale ricordo, esperienza o emozione sia nato quel click.

Katja Snozzi nel frattempo ha lasciato la sua casa di Verscio e si è trasferita Oltralpe. Le immagini della mostra Cà méa (e il bel catalogo con le testimonianze dello stesso Casè e di Ingeborg Lüscher) costituiscono dunque il suo affettuoso addio a quelle quattro mura dove ha saputo cogliere anche lo scorrere del tempo.