Peter Brooke e Marie Hélène (www.journal-laterrasse.fr)


Incanto, poesia e redenzione

In scena a Verscio The Prisoner, una delle più intense opere di Peter Brook
/ 16.04.2018
di Giorgio Thoeni

Non c’era di che dubitarne. Con l’arrivo a Verscio di uno spettacolo firmato da Peter Brook con Marie-Hélène Estienne, storica collaboratrice del maestro inglese, la sala centovallina avrebbe faticato a soddisfare l’affluenza del pubblico accorso per assistere a quello che ha avuto tutti i crismi di un evento eccezionale nella storia recente di quel piccolo-grande teatro. E così è stato, nonostante il prezzo esuberante del biglietto, il Teatro Dimitri ha accolto The Prisoner con totale attenzione e raccoglimento. Uno spettacolo da antologia per la filosofia e la spiritualità che accompagnano le opere del grande regista oggi novantatreenne e ancora straordinariamente giovane 

The Prisoner è il risultato di un lungo e accurato processo di ricerca, scrittura e composizione con l’obiettivo di creare una parabola in cui il leggendario «spazio vuoto» diventa il compromesso ideale, una scena perfetta dove si consuma la relazione teatrale tra attore, spettatore e testo, magica triade che agisce in uno spazio sgombro da orpelli, dove la scenografia è nella forza evocativa dell’attore, nei suoi silenzi e nei suoi sguardi, accanto a pochi semplici elementi funzionali alla storia che viene raccontata. Ma anche in questo caso Brook non spiega ma indica una via dove la narrazione può ritagliarsi una vita propria, accanto allo spettatore, dentro o distante da lui in un movimento interiore straordinariamente intimo e con un respiro dall’inestimabile valore sociale. Un rituale che rende visibile l’invisibile, senza effetti illusori, senza meccanismi di abusata finzione. The Prisoner è tutto ciò ma anche di più, fra le dimensioni che Brook ha amato distinguere fra «teatro sacro» e «teatro ruvido», con una storia umana e scabrosa.

Una storia scaturita da un’esperienza vera. Cinquant’anni fa il regista inglese incontra in Afghanistan un maestro sufi che lo invita a conoscere uno dei suoi vecchi allievi diventato un criminale e che aveva scelto di espiare la pena che gli era stata inflitta rimanendo solo e davanti alle mura della prigione fino al momento in cui avrebbe capito quando la colpa sarebbe stata assorbita dal pentimento. Solo allora avrebbe potuto raggiungere gli altri. Il racconto ricamato da Brook va ben oltre alla definizione del fatto criminoso ma si supera nel suo atroce antefatto: l’uomo ha ucciso il padre dopo averlo scoperto a letto con sua sorella di cui è innamorato. Ne nasce una favola per adulti sulla nozione di Redenzione utilizzando un soggetto tabù come l’incesto dove cercare risposte sul senso di Colpa e di Giustizia in un clima di compassione, uscendo dall’insegnamento della vita per entrare nelle storie più profonde e nascoste di ognuno di noi. 

The Prisoner è uno spettacolo ipnotico, i suoi 75 minuti scuotono la coscienza e stravolgono la dimensione stessa del tempo, è uno spettacolo che accompagna lo spettatore a occupare lo spazio scenico interpretando i segni di una storia universale che esplora il tema della violenza con un approccio sublimato dall’immensa e generosa intelligenza teatrale di Peter Brook in cui emergono i valori indiscutibili della scrittura, delle parole e dei gesti, delle luci (Philippe Vialatte) e dell’accurato lavoro sugli attori provenienti da diverse parti del mondo, come il giovane protagonista, l’iraniano Hiran Abeysekera, straordinario nella sua innocenza quasi animalesca, il rwandese Ery Nzaramba, l’indiana Kalieaswari Srinivasan, il brasiliano Omar Silva e l’inglese Donald Sumpter.