Dove e quando
Attraverso. Fotografie di Daria Caverzasio Hug. Galleria ConsArc, Chiasso. Fino al 16 marzo 2019. consarc.ch

Daria Caverzasio Hug, serie Transiti, 2013-2018 (© Daria Caverzasio Hug) 


Improvvisazione, sensibilità e talento

Alla Galleria ConsArc di Chiasso il lavoro di Daria Caverzasio Hug, questa volta affidato a un iPhone
/ 25.02.2019
di Giovanni Medolago

«Tutto può accadere, tutto è possibile. Il tempo e lo spazio non esistono. Su una base insignificante di realtà, l’immaginazione fila e tesse nuovi disegni: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni».

Così August Strindberg nel suo dramma Il sogno, riflessione poi ripresa nel film Fanny e Alexander dal suo connazionale Ingmar Bergman. Colpisce nel segno l’epigrafe che ci introduce alla mostra aperta alla Galleria Cons Arc di Chiasso, un invito sia a cogliere quanto ci propone Daria Caverzasio Hug (DCH) attraverso le sue immagini, sia a tessere nuovi disegni, fantasticando su quanto potrebbe esserci al di là dell’inquadratura; mescolando ricordi, esperienze ecc. consiglia Strindberg.

Inoltre, quella «base insignificante di realtà» – confessa Daria sorridendo – nasce forse dalla forte miopia che l’accompagna sin da piccola. «Vista con un cannocchiale usato al contrario – aggiunge – la realtà viene in qualche modo distorta». A questa realtà già di per sé falsata, la fotografa giunge in modo altrettanto «distorto»: nella serie di ritratti che riprendono le immagini dei defunti sulla loro tomba e significativamente denominata «Transito», c’è sempre un riflesso, una gibigianna o qualche scoria lasciata dal tempo che irrompono sui visi dei trapassati.

Ma sia pure Attraverso (titolo dell’esposizione) tutto ciò, lo sguardo dei poveri morti ci giunge mantenendo un’intensità talvolta addirittura inquietante, densa di interrogativi. «Volti trapassati, maschere algide prese da un gioco che soltanto loro padroneggiano» (G. Isella).

Lasciati i defunti, DCH si lancia letteralmente sull’autostrada e con il suo smartphone (usato per realizzare tutte le immagini presentate alla Cons Arc) scatta attraverso il finestrino dell’auto, ancora incurante di quanto potrà sistemarsi tra il suo obiettivo e una realtà che questa volta è distorta dalla velocità. Le quattro foto della serie intitolata Il sogno del gigante sono attraversate da un fascio di luce perentorio quanto capriccioso, poiché cambia forma, intensità, posizione.

La serie mantiene tuttavia una felice unità cromatica, costruita su poche tenui tinte che miracolosamente si ripropongono nel bailamme di improvvisazione (e di scossoni e di casualità) che sta dietro ogni fotografia scattata in quelle condizioni. Un neopittorialismo tecnologico, un astrattismo 2.0: dall’insieme dei lavori, emerge altresì una sensibilità che DCH fa risalire dapprima ai suoi studi in Storia dell’arte all’Università di Firenze, e poi alla lunga esperienza quale consulente scientifica al Museo di Villa dei Cedri a Bellinzona.

D’accordo, ma partendo senza un progetto preciso in testa e con scarse nozioni tecniche, come ha fatto la fotografa, alla sensibilità bisogna pure aggiungere un certo talento. Altrimenti non si va lontano.