Il volto umano del mostro

Quest’anno a PiazzaParola ci si è chinati sulla figura di Frankenstein e della sua autrice, Mary Shelley
/ 28.10.2019
di Natascha Fioretti

Tra le parole di grandi scrittori, giornalisti, professori, scienziati, l’immagine cinematografica, la musica creata ad hoc da Zeno Gabaglio e la lettura scenica irriverente di Margherita Saltamacchia e Christian Zatta, Piazzaparola in questa sua nona edizione ha confermato il successo della sua formula: partire dalla riscoperta di un classico per riflettere a tutto campo sulle questioni cruciali del presente attraverso diversi linguaggi e da diverse angolazioni. Al pubblico piace, numerosa è stata l’affluenza, perché il messaggio è chiaro e al contempo polivalente, soprattutto, va in profondità.

Come si è visto nelle cinque giornate della manifestazione, riscoprire un classico significa in prima istanza fedeltà e omaggio al testo. In questo è stata particolarmente brava Nadia Fusini, una delle massime angliste italiane e autrice della prefazione dell’edizione di Frankenstein uscita lo scorso anno da Neri Pozza per il centenario dell’opera.

Ascoltarla è stato come assistere a una magistrale lezione universitaria, una di quelle nelle quali ti appassioni sin dalla prima parola, sin da quella prima semplice domanda: chi è Mary Shelley? Per raccontare il primo, il più agghiacciante romanzo storico mai scritto, così pieno di echi miltonici ma anche anticipatore di accordi nuovi alla Pope e alla Melville, la prima cosa da fare è conoscere il contesto nel quale l’opera e la sua autrice si muovono. L’autrice di Frankenstein è figlia della femminista e intellettuale Mary Wollstonecraft, impegnata in prima linea della lotta per i diritti civili, e del filosofo e illuminista radicale William Godwin. «Segnata dalla morte della madre, grazie al padre Mary Shelley entra presto in contatto con una comunità di intellettuali, liberi pensatori, non conformisti per tradizione; una nuova generazione che si interroga sulla politica, sull’etica, sull’estetica, sul senso del bene, del bello, del piacere, e del dolore con la stessa partecipe emozione con cui appunto vivono, con curiosità trasgressiva. A tale scuola viene allevata Mary» racconta Nadia Fusini.

Saranno proprio il suo anticonformismo, il suo non riconoscere le convenzioni sociali a farla perseverare nel suo amore per il già sposato poeta Percy B. Shelley – «non era facile essere poeti allora c’era la ricchezza delle menti ma anche la miseria» – che ha avuto un ruolo importante nella creazione di Frankenstein quella notte a Villa Diodati. Fu in quella notte del 16 giugno del 1816 sulle rive del Lago Lemano che la visione della spaventosa creatura e il tentativo umano di imitare l’atto della creazione del mondo, tra veglia e sonno, si presenta all’autrice attraverso vividissime immagini.

In chiusura Nadia Fusini evidenzia come la creatura e il mostro condividano la metafora ossessiva della nascita inscritta nella traumatica esperienza di Mary che sin da subito ha conosciuto la contiguità di vita e di morte: «dare la vita è anche dare la morte».

Grande novità di quest’anno a PiazzaParola è stata la lettura scenica di venerdì sera, una performance emozionante che ha coniugato la lettura potente di Margherita Saltamacchia e la musica elettronica di Christian Zatta. Un connubio esplosivo che ha mostrato una grande intesa pur essendo una prima collaborazione assoluta. Lei è un’attrice nota nel panorama ticinese, spesso sul palco del Teatro Sociale di Bellinzona, lui un giovane chitarrista molto promettente che ha studiato e collaborato con alcuni dei migliori musicisti jazz della scena internazionale.

«Al nostro primo incontro in luglio pensavo che avremmo bevuto un caffè e ci saremmo conosciuti, Christian invece si è presentato già con una partitura ben composta» dice Margherita che non perde tempo a entrare nel vivo del progetto «il lavoro parte dalla prefazione che Mary Shelley scrisse nel 1831 per la terza edizione dell’opera. All’epoca aveva 40 anni e quello che aveva vissuto sino a quel momento era una cosa pazzesca: aveva perso due figli, un marito, aveva scritto e riscritto più volte Frankenstein e ora, in questo scritto, fa il bilancio della sua vita. Ed è incredibile quello che pensa di sé, dice “non ero mai l’eroina dei miei racconti. La mia vita mi sembrava una faccenda troppo banale”».

E invece ci ha donato un grande capolavoro che sin da subito ha ispirato molto anche il giovane Christian: «mi è sembrato più facile comporre perché l’ispirazione era già lì, l’ho semplicemente tradotta in musica lasciandomi trascinare di pancia e scrivendo tre temi per le figure principali: Mary Shelley, la creatura e lo scienziato Viktor Frankenstein». A proposito di temi e di atmosfere il musicista ci dice che per Viktor «il tema principale è la tristezza, la malinconia e la solitudine».

Nella sua musica c’è anche tanta improvvisazione, suoni vicini al jazz si mescolano ad altri vicini al rock e sono così in sintonia con la performance dell’attrice da dare l’idea che sul palco ci sia un altro attore. In questa meravigliosa lettura scenica dal titolo Frankenstein, ritratto d’autrice, un progetto nato per PiazzaParola e sostenuto dal Teatro Sociale di Bellinzona, la musica di Christian Zatta si fa personaggio mentre Margherita Saltamacchia è Mary Shelley attraverso i personaggi del romanzo.