È davvero sorprendente la poliedrica attività di Per Kirkeby, nato a Copenhagen nel 1938 e tra le figure più interessanti del panorama culturale scandinavo. A ripercorrere il suo cammino professionale si rimane difatti sbalorditi dalla molteplicità degli ambiti a cui si è dedicato con ingegno e competenza, spaziando tra scienza e arte alla ricerca di un sentire condiviso che potesse condensare realtà ed emozione.
Kirkeby è geologo, è pittore, scultore, grafico e architetto, è poeta, scrittore e saggista, e, ancora, è regista e scenografo. Grande amante della natura, si laurea nel 1964 in geologia artica e intraprende una lunga serie di avventurose spedizioni in giro per il mondo, eleggendo a luogo prediletto delle sue esplorazioni la Groenlandia, terra meravigliosa dove «il mare penetra dappertutto e i fiordi tagliano il paesaggio».
Kirkeby è autore di opere letterarie in versi e in prosa, una produzione che prende avvio negli anni Sessanta con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie e del suo primo romanzo, e che prosegue poi costante anche con numerosi saggi monografici su grandi artisti del passato quali Delacroix, Friedrich, Turner, Monet e Cézanne, solo per citarne alcuni.
A partire dagli anni Settanta realizza film, documentari e lungometraggi collaborando con registi del calibro di Lars von Trier, con cui lavora all’esecuzione dei titoli nei singoli capitoli della celebre pellicola del 1996 Breaking the Waves (Le onde del destino) e alla sequenza iniziale di Dancer in the Dark, e dagli anni Novanta crea scenografie e costumi per il teatro.
Tra tutte queste attività è però quella di pittore ad avere la meglio, diventando con il tempo «il mestiere» di cui Kirkeby decide di occuparsi con maggiore dedizione, nonché il campo in cui far confluire le riflessioni scaturite dalle sue esperienze.
Una mostra al Museo d’Arte di Mendrisio ci racconta proprio il Kirkeby autore di dipinti, in cui non si stenta a riconoscere l’importante ascendente della sua formazione in geologia, «scienza delle forze dietro le forme», che ne scandisce la struttura compositiva e ne detta motivi e tavolozza cromatica.
La rassegna si concentra sul periodo che va dal 1983 al 2012, quello che viene considerato il momento della maturità e che vede il linguaggio di Kirkeby raggiungere esiti peculiari nell’orientarsi verso una pittura che si alimenta delle meditazioni sull’arte del passato e dello stretto legame con l’elemento naturale. Una pittura uscita ancor più consapevole e salda dalle sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta che hanno visto l’artista danese accostarsi alle tendenze avanguardistiche del Minimalismo, dell’Arte Concettuale, della Pop Art e del movimento Fluxus, per le quali il mezzo pittorico era ormai estremamente antiquato.
L’esposizione di Mendrisio parte dunque dai dipinti realizzati nei primi anni Ottanta, in cui emerge con forza un profondo sentimento per il paesaggio. Interessante è l’accostamento di queste opere di grande formato, sulle cui superfici il colore viene steso a strati sovrapposti, con alcune coeve sculture in bronzo di Kirkeby che testimoniano come l’arte plastica abbia contribuito allo sviluppo di una pittura basata sulla visione compatta della natura e sulla delicata modulazione della luce. Ben lontane dai più lineari e architettonici lavori in mattoncini rossi che l’artista crea fin dal 1966, queste sculture dalla materia corrugata e dai contorni indefiniti (memori della libertà formale di Auguste Rodin) rimarcano il rapporto fra volume e luminosità, svelando a Kirkeby la possibilità di riportare sulla tela i medesimi risalti chiaroscurali.
Di un cromatismo più contrastato sono gli esiti pittorici degli anni Novanta, dove il pigmento è deposto a grandi macchie e percorso da un intreccio caotico di segni che evocano gli elementi del mondo organico analizzati dall’artista durante le sue esplorazioni geologiche. Via via i dipinti si fanno più ordinati, acquistando un vigoroso senso della struttura e arricchendosi di componenti ornamentali che Kirkeby desume dai suoi numerosi viaggi e dalla sua passione per l’arte bizantina. Ne è un esempio Ritorno dall’Egitto I, del 2000, un olio in cui le forme sgretolate dei lavori precedenti si ricompongono in una trama più fluida e ritmata.
Il confronto con la storia dell’arte si fa evidente nei dipinti degli ultimi anni, tele dove Kirkeby ama inserire in paesaggi dalle tinte sempre più livide figure e oggetti desunti dalle opere degli artisti del passato a cui si sente più affine, in una mescolanza di motivi naturali e frammenti di memoria che perdono il contatto con il reale per rivestirsi di un valore simbolico.
Ci aiuta a comprendere meglio la produzione pittorica di Kirkeby e il suo intenso rapporto con la natura un’ampia selezione di acquarelli realizzati dall’artista nei suoi soggiorni in Groenlandia: eseguiti di getto durante le escursioni, negli accampamenti o in mezzo al mare a bordo di una nave, queste preziose carte, essenziali e quasi eteree, sono frutto del piacere immediato dell’osservazione di quelle terre nordiche a cui Kirkeby si sente intimamente legato e a cui vuole avvicinarsi attraverso la sua arte per coglierne la grandiosa e struggente bellezza.