Inutile cercare sulla cartina del Brandeburgo il piccolo centro rurale di Unterleuten. Dista una manciata di chilometri da Berlino, ma in realtà è inesistente. Eppure Juli Zeh ne ha fatto non solo la scena del suo ultimo ampio romanzo, Turbine, edito da Fazi nell’ottima traduzione di Riccardo Cravero e Roberta Gado, ma lo spazio misterioso e sfuggente di uno scontro per la vita. L’icona di un travaglio collettivo alla ricerca di mondi alternativi affrancati dall’avidità e dalla cupidigia umane.
Juli Zeh, nata a Bonn nel 1974, è una delle più problematiche e affermate scrittrici tedesche delle ultime generazioni, che può vantare già una decina di romanzi, fra cui bestseller come Aquile e angeli (Fazi, 2005), Gioco da ragazzi (Fazi, 2007), il giallo Un semplice caso crudele (Baldini Castoldi, 2009) e il legal thriller Corpus delicti (Ponte alle Grazie, 2010). Non è un caso se i suoi libri sono spesso suggestive e complesse variazioni su violenza e giustizia, dogmatismo e libertà, bene e male. La Zeh infatti è giurista di formazione, e nel 1998 si guadagnò perfino l’appellativo di «signorina prodigio» come migliore laureanda in diritto internazionale di tutta la Sassonia. Ma le sue riflessioni su diritto e morale si dissolvono per fortuna in pura narrazione, come in Un semplice caso crudele dove il plot poliziesco rispetta con fantasiosa ironia le regole del genere: con un morto, un rapimento e la figura di un commissario, il perspicace e malandato Schilf, che pare uscito dalle pagine di Dürrenmatt.
Il mistero s’infittisce anche nella sua ultima opera, dove tra i boschi e la sabbia del Brandeburgo ci si aspetterebbe solo un po’ di idillio e di serena convivenza. In realtà l’ampio romanzo sociale della Zeh mette in scena contrasti di ogni genere: vecchie inimicizie, sopravvissute alla caduta del Muro e della Rdt, fra l’agronomo Gombrowski e l’anziano comunista Kron, fra i vecchi abitanti e i nuovi arrivati come la giovane Linda Franzen, amante dei cavalli, e l’ornitologo Gerhard Fliess, fra gli speculatori come il bavarese Konrad Meiler e chi su quella terra ci ha speso la vita.
Su quella comunità si proiettano ombre inquietanti: che cosa accadde realmente nel bosco in quel tragico giorno di novembre del 1991 quando sul paese si abbatté un terribile temporale? Erik, amico di Kron fu colpito – si dice – da un grosso ramo caduto a terra e morì, mentre quest’ultimo si ferì gravemente a una gamba restando invalido. Guarda caso, i due erano contrari alla trasformazione della cooperativa agricola diretta da Gombrowski che aveva un suo scagnozzo, il meccanico Schaller, pronto a tutto pur di neutralizzare gli avversari. Forse quel bosco nasconde da anni un’altra storia che scivola via nel tempo e fra le pagine del romanzo lasciando un vuoto e un’inquietudine persistenti.
I veri interrogativi stanno però altrove: nello scontro fra una modernità che agogna al proprio tornaconto e una tradizione frustrata dal socialismo, ma avversa a quel capitalismo che, come dice Kron, ha trasformato il senso civico in puro interesse personale. Del resto i fatti parlano chiaro. Gombrowski e il sindaco Arne, suo compare, fanno di tutto perché su quel territorio vengano collocate delle turbine eoliche: se ne avvantaggerà il paese, dicono, anche se i soldi finiranno nelle tasche di chi, come l’agronomo, potrebbe disporre dei terreni adatti per produrre energia pulita.
È inevitabile che si creino fronti contrapposti: le turbine deturpano il paesaggio – sostiene invece l’ex docente Fliess con la moglie Jule e molti altri –, uccidono gli uccelli, compromettono la salute degli abitanti, servono ad arraffare sovvenzioni più che a generare energia alternativa. Il conflitto attraversa nel romanzo non solo la comunità, ma la stessa vita dei singoli. E ben presto diventa evidente come l’installazione delle turbine permetta di affrontare, sullo sfondo di una regione tedesca che ha conosciuto le grandi contraddizioni politiche del dopoguerra, il complesso e sempre più attuale tema dell’ecologia e del rispetto dell’ambiente in rapporto all’incalzante sviluppo tecnologico. Ma la scrittrice sfrutta questa opportunità in ben altra prospettiva ampliando la sua riflessione di fondo e i contrasti che essa genera in una splendida galleria di ritratti, in una passerella di personaggi, diversi per età, provenienza e cultura.
Turbine è un romanzo corale, forse un po’ troppo ampio, dove tutti, a modo loro, sono protagonisti, nel bene e nel male, e al tempo stesso vittime di un destino che sconvolge ogni aspettativa e finisce per mortificare anche gli entusiasmi più sinceri. C’è un pezzo di storia del Novecento in queste pagine, passata al setaccio della quotidianità e delle vite individuali. Sono queste a tenere banco, in un ampio affresco in cui i punti di vista si confrontano e intersecano, le vicende si fanno sempre più incalzanti mentre il progetto destinato a sconvolgere il paesaggio mette a soqquadro l’intera comunità. La scomparsa della piccola Kroncina, nipote di Kron, getta il paese nello scompiglio e in una sorta di febbre generale, come dopo la caduta del Muro, quando tutti sospettavano di tutti.
Non importa che la bimba venga ritrovata sana e salva; ormai su Unterleuten, che per molti era l’habitat ideale, quasi una visione del mondo, calano ombre pesanti che il passato ha contribuito a infittire. Miriam, la giovane figlia di Schaller, pretende chiarezza dal padre, così come la dottoressa Kathrin, figlia di Kron, invano cerca di dissolvere i dubbi legati a quel lontano e tragico pomeriggio nel bosco. Forse Gombrowski non fu il vero responsabile e in ogni caso in quel lembo di Brandeburgo la verità è stata sotterrata da tempo e poco emerge se non la follia dei suoi abitanti. Perfino il professor Gerhard, colto da una sorta di raptus, si avventa con violenza su Schaller, che gli appare come il demonio in persona, e lo spedisce all’ospedale.
In questa storia a più voci, che varia in relazione a chi la racconta, si cela la metafora dell’eterna lotta per la vita sullo sfondo di un mondo senza illusioni, dove tutto potrebbe ribaltarsi. Kron, poco prima di morire, vince su Gombroski che si suicida calandosi nel pozzo che fornisce acqua potabile ai suoi compaesani. Chissà, forse ha ragione il sindaco Arne a dire che su Unterleuten grava una maledizione. Lui ha raccontato tutto a una giovane donna, Lucy Finkbeiner, che lo accompagna per il villaggio e insieme guardano girare in lontananza le turbine. «Ne valeva la pena?», verrebbe da chiedersi. Chi lo sa. Ma Lucy, la scrittrice evocata alla fine, non avrà dubbi. Unterleuten è una sorgente di notizie e lei scriverà un romanzo di successo. Nessuno lo può sapere meglio di noi lettori.