Il regista Romeo Castellucci è nato a Cesena nel 1960


Il sistema democratico americano e le visioni di Romeo Castellucci

Nell’ambito della «Nuova Drammaturgia» è andato in scena un testo profondo e a tratti difficile
/ 04.03.2019
di Giorgio Thoeni

La stagione teatrale di LuganoInScena ha dedicato una piccola parte della sua programmazione alla Nuova Drammaturgia, al nuovo teatro. Ma che cosa dobbiamo intendere per nuovo? Forse la manifestazione di uno spostamento dalla sintassi, un ribaltamento di significati, altri percorsi cognitivi per comprendere l’essenza di un messaggio?

Proviamo a parlarne senza dare risposte definitive ma partendo dagli stimoli ricevuti con Democracy in America, spettacolo del regista romagnolo Romeo Castellucci visto recentemente sul palco del LAC. 

Geniale costruttore di visioni che si nutrono di archetipi culturali complessi, proiettati in una dimensione che sfugge a facili definizioni, il lavoro di Castellucci porta a considerare il suo teatro come opera d’arte, un valore in divenire nella società e rappresentato in tutta la sua complessità. Un processo che il regista costruisce ispirandosi a uno dei più significativi testi di sociologia politica, La democrazia in America scritto tra il 1835 e il 1840 dall’aristocratico francese Alexis de Toqueville dopo un viaggio effettuato nel nord della nascente nazione americana. Un’articolata e profonda riflessione sulla creazione di una realtà alla luce di tutte le sue contraddittorie componenti. Dallo scontro di mentalità fra coloni e nativi fra terre di confine, fra pensiero religioso e divino nel processo di formazione di una lingua intesa come fondamentale paradigma del pensiero e elemento indispensabile e comune a tutto il mondo occidentale democratico.

Per Castellucci (e per Toqueville) il diritto nasce nel momento in cui Dio muore; non c’è diritto nella religione sebbene il fondamento della democrazia americana tragga le sue origini proprio dai Puritani che concepiscono una società non aristocratica, dove tutti sono allo stesso livello. Ovviamente ad eccezione dei nativi e delle donne.

Un’ipirazione sostenuta nel Vecchio Testamento e messa a confronto con la forza muscolare della fede dell’individuo. È dunque nuovamente in una dimensione religiosa che Castellucci ricorre alla rappresentazione attraverso quadri straordinari, sia da un punto di vista visivo e pittorico, sia per profondità di analisi e ricchezza di significati.

Già dalle prime scene capiamo il divenire di un discorso che analizza le componenti di una articolata trasformazione. Ecco allora gli sbandieratori che, anagrammando il titolo dello spettacolo, propongono una chiave di lettura in divenire, i nativi che decifrano la nuova lingua e la coppia di agricoltori in un bellissimo dialogo che racconta la nascita della bestemmia, del peccato da un linguaggio costruito sulla parola arbitraria e vuota.

Una giostra di maschere mistiche e colori per un’immagine di progresso dove la lingua si trasforma in legge, in un codice nuovo e apparentemente egalitario di fronte a Dio.

Il disegno di Castellucci, autore dei testi con la sorella Claudia, si avvale di un ensemble di eccellenti interpreti, ma in particolare di attrici come Olivia Corsini e Giulia Perelli calate in dimensioni difficili, sospese.