Nonostante siano passati oltre quarant’anni dall’epoca d’oro del cosiddetto «progressive rock», all’alba del 2019 sono ancora molti coloro che guardano a questo negletto genere come a qualcosa di irrimediabilmente datato, una vera e propria reliquia dell’era post-hippie. Accade così che anche un maestro assoluto quale il britannico Alan Parsons, anima del celeberrimo The Alan Parsons Project e attivo sulla scena fin dal 1976, sia stato perlopiù relegato a simbolo di inconfessabili nostalgie da musicofili; eppure, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’album con cui il 70enne Parsons ha appena effettuato il proprio ritorno sulle scene – l’ambizioso The Secret – lo conferma come uno degli autori tuttora più eclettici ed entusiasmanti del mondo anglosassone.
E poiché dal progressive al rock sinfonico vero e proprio il passo è breve, stavolta sembra essere proprio l’esplorazione di una più tradizionale «forma canzone» a costituire il punto di partenza per l’esperimento che Alan ha deciso di tentare con questo nuovo lavoro solista, interamente impostato sul fil rouge del mistero e della cosiddetta magia, in primis intesa come l’innata capacità di ammaliare – non solo da parte dello stregone dotato di veri e propri poteri occulti, ma anche del semplice prestigiatore da avanspettacolo.
Così, la traccia d’apertura dell’album è nientemeno che una rivistazione a base di chitarre elettriche del tema The Sorcerer’s Apprentice, dagli italofoni meglio conosciuto come «l’apprendista stregone», poema sinfonico composto nel lontano 1897 dal francese Paul Dukas e poi reso popolare in tutto il mondo dal noto film musicale Fantasia, realizzato da Walt Disney nel 1940. Dopo quest’unica parentesi strumentale in puro spirito à la Pink Floyd, Parsons si ributta però a capofitto in ciò che gli riesce meglio, ovvero la propria, personale mistura (sempre contraddistinta da invidiabile eleganza) tra un cantato dall’assoluto rigore formale e arrangiamenti strumentali futuristici e profondamente evocativi: ecco quindi che One Note Symphony riesce, ancora una volta, a coniugare la maestosità orchestrale tanto cara ad Alan con l’elettronica vintage offerta da sintetizzatori tipicamente anni 70, il tutto coronato dagli efficaci vocals di Todd Cooper.
E se i richiami aerospaziali sono evidenti nei frammenti di gracchianti dialoghi rubati all’etere – così come nel recitativo, che anela a future, eppure già arcaiche, tecnologie – la maestria di Parsons nell’intessere questa elaborata tela sonora offre all’ascoltatore la conferma di come il futurismo in un certo senso «datato» espresso dagli arrangiamenti di The Secret sia ancor oggi più attuale e godibile che mai, e di come Parsons riesca a donarlo al suo pubblico con la medesima disinvoltura e impeccabile professionalità dimostrata fin dagli anni 70. Il tutto secondo uno spirito duttile quanto personale, evidente anche in un brano dall’arrangiamento volutamente epico quale Requiem e perfino in tracce invece caratterizzate da sonorità esplicitamente radio-friendly (Miracle e, soprattutto, la beatlesiana Fly to Me).
In questo meraviglioso patchwork sonoro, che si avvale dell’apporto di ospiti di rilievo quali Steve Hackett e Lou Gramm, si trovano, però, anche contaminazioni e commistioni a tratti inaspettate; come accade con le tracce che sembrano richiamare il miglior soft rock statunitense dei tardi anni 70 (si vedano l’intenso Sometimes e The Limelight Fades Away, che non sarebbero fuori posto in un album dei Supertramp) o il patinato cantautorato di classe di Years of Glory e I Can’t Get There From Here. Eppure, a cavallo tra epicità ed easy listening, Parsons indulge anche in momenti di respiro suggestivo – e quasi metafisico nel suo arioso esistenzialismo – come il singolo As Lights Fall («benché nuvole cariche di dubbio abbiano ingrigito il mio sentiero / sono andato fino in fondo e ne ho affrontato il furore»); o, ancora, in un intermezzo intrigante e misterioso quale Soirée Fantastique, incentrato proprio sulla metafora del mago da palcoscenico e sui segreti che questi custodisce non solo nelle proprie maniche, ma soprattutto nei meandri dell’anima – e di come solo l’amore possa (forse) far crollare una volta per tutte le barriere innalzate tramite trucchi ed ingannevoli effetti speciali.
In questo senso, la scelta che Parsons esprime lungo l’intera tracklist di The Secret appare quella di orientarsi verso un pop-rock più radiofonico e orecchiabile, anziché focalizzarsi esclusivamente sulle suggestioni del rock progressive e sinfonico nella loro accezione più integralista. Una decisione che oggi si rivela di fatto vincente, permettendogli di raggiungere un pubblico più vasto e dalle inclinazioni e gusti maggiormente contemporanei, e di evadere da quella «gabbia» che l’aderenza allo stile dei bei tempi andati avrebbe potuto imporgli – per esportare così la sua arte anche tra le giovani generazioni.