Onusto di premi, tra cui il Pulitzer 1993, Angels in America è un testo teatrale in due parti (intitolate Si avvicina il millennio e Perestroika) che intrecciando alcune storie personali (ambientate a New York tra il 1985 e il ’90, ma prevalentemente nel biennio ’85-’86, durante la presidenza di Ronald Reagan) tratta argomenti quali il capitalismo, la giustizia sociale, l’omofobia, il razzismo, la democrazia, il progresso, le migrazioni, l’identità (sessuale, di genere, etnica, religiosa, di classe, nazionale), e con particolare rilievo il diffondersi negli Stati Uniti dell’AIDS: una sindrome inizialmente considerata triste appannaggio di omosessuali e tossicodipendenti, e successivamente assunta, negli anni Ottanta, a metafora della decadenza e della possibile fine di una civiltà, e dunque fonte di previsioni apocalittiche, di attese millenaristiche, di aspettative palingenetiche.
Si tratta, insomma, di un’opera «massimalista», con citazioni e rimandi disparati, con passaggi bruschi dal realistico al visionario. In altri termini: non è una tranche de vie ambientata «in un tinello», per usare un’immagine di conio arbasiniano. Con grande libertà, l’azione si sposta infatti da una camera d’ospedale a un ristorante di lusso, dal Central Park ai ghiacci dell’Antartide, da una casa nello Utah al Paradiso. E il linguaggio con cui si esprimono i suoi personaggi trapassa dal basso-quotidiano al poetico-immaginoso.
Dopo la prima londinese del 1993, il Sunday Times ha definito Angels in America «una Divina Commedia per un’età laica e tormentata»: parole che buona parte del giornalismo culturale ripete pigramente anche ai giorni nostri. Per rendersi conto di quanto sia inopportuno l’accostamento al poema dantesco, basta considerare il fatto che i personaggi di primo piano della commedia di Tony Kushner sono sette. Una campionatura sociologica piuttosto limitata: sicuramente per quanto riguarda le inclinazioni e le pratiche sessuali: cinque dei sette personaggi sono gay.
Quanto all’Angelo che scende sulla terra per annunciare l’avvio della Grande Opera, e irrompe nella camera da letto di Prior Walter per conferirgli un’investitura profetica, più che imparentato con gli angeli della Bibbia, o con l’Angelo della Storia di Walter Benjamin, sembra avere rapporti con il fantasy, il camp e l’effettismo hollywoodiano. (Come dieci anni fa, si direbbe che voglia darcene conferma la fragorosa apparizione della ragazza pennuta che nello spettacolo di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani sfonda una parete della camera di Prior, accompagnata da folgori, tuoni, video psichedelici, musiche ad altissimo volume, cori oltremondani, effetti d’eco e altre amplificazioni sonore. Ma devo aggiungere che una parte non piccola del testo di Kushner, a mio parere, ha carattere parodico o è al limite della parodia). Sottotitolando la sua opera «fantasia gay su temi nazionali», e definendola successivamente «una commedia gay ed ebraica», oltre che «una commedia di New York», il drammaturgo statunitense ha dato prova di maggior consapevolezza e lucidità critica.
Un’altra annotazione mi pare inevitabile, e riguarda la rilevanza che dall’inizio alla fine ha il tema dell’AIDS. Nel biennio 1985-86, un’infezione conclamata da HIV significava quasi sempre morte certa. Oggi non più. Sotto questo aspetto, Angels in America si può definire a period piece. Tradotto liberamente: un oggetto di modernariato. E lo fa sembrare tale anche la scena conclusiva di Perestroika, ambientata nel Central Park, dove davanti alla fontana di Bethesda, nel febbraio del 1990, quattro personaggi (Prior, Hannah, Belize e Louis) parlano dei cambiamenti politici avvenuti nel mondo tra il 1986 e il ’90, ed esprimono la speranza che la terribile esperienza della pandemia di AIDS contribuisca alla costruzione di società fondate su idee di pluralismo liberale.
Pienamente attuali sono invece i temi dell’ingiustizia, dell’omofobia, del razzismo, delle migrazioni, delle disparità sociali, delle identità, delle incarnazioni negative del potere. Temi che spesso trovano efficace espressione nelle parole e negli atti dei personaggi principali: Prior Walter (giovane WASP affetto da AIDS, a cui l’Angelo affida una missione che ha lo scopo di far ritornare Dio nel Paradiso che ha abbandonato); Louis Ironson (giovane intellettuale ebreo, e alter ego dell’autore, che abbandona Prior, di cui è l’amante, perché non si sente in grado di affrontare i problemi connessi alla sua malattia); Belize (infermiere afroamericano ed ex drag queen, amico ed ex amante di Prior); Joe Pitt (giovane avvocato mormone, assistente di un giudice e pupillo di Roy Cohn, che fatica ad accettare la propria omosessualità e diventa l’amante di Louis); Harper Pitt (moglie depressa di Joe, le cui allucinazioni sono dovute alla dipendenza dal Valium); Hannah Pitt (madre di Joe, anche lei mormone, che si trasferisce dallo Utah a New York dopo che il figlio le ha confessato per telefono di essere gay); Roy Cohn (famoso e influente avvocato ebreo, ultraconservatore e professionista scorretto, eterosessuale in pubblico e omosessuale in privato, che muore di AIDS in un letto di ospedale, sotto lo sguardo del fantasma di Ethel Rosenberg, della quale ha chiesto e ottenuto, nel 1951, la condanna a morte).
Al ritmo fluido e alla varietà di registri dello spettacolo diretto da Bruni e De Capitani contribuiscono i numerosi video di Francesco Frongia e soprattutto un affiatatissimo gruppo di nove attori, ciascuno dei quali interpreta diversi personaggi (indicherò soltanto i più importanti). Quattro di loro erano già nell’edizione del 2009: Elio De Capitani (un ottimo Roy Cohn, personaggio realmente esistito), Luca Petranca (Louis Ironson), Ida Marinelli (Hannah Pitt), Cristina Crippa (Ethel Rosenberg). Gli altri cinque sono new entries: Angelo Di Genio (Prior Walter); Giusto Cucchiarini (Joe Pitt), Giulia Viana (Harper Pitt), Alessandro Lussiana (Belize), Sara Borsarelli (l’Angelo).