Devo confessare che il romanzo di Thomas Hürlimann l’ho letto sei volte. Vi dico anche, in confidenza, che alla prima ci ho capito poco. Poi però ad ogni lettura ho avuto una sorpresa, trovato un indizio, ho iniziato a sottolineare ogni parola o frase che mi sembrava avesse un senso per quel disegno che nella mia testa lentamente prendeva forma. Com’è quel detto in latino? «Per Aspera ad Astra», attraverso le avversità sino alle stelle. Quella che a prima vista sembra la bizzarra storia di un tale, Heinrich Übel, nato il 21 dicembre del 1950 in una valle sperduta della Svizzera tedesca chiamata Fräcktal, che un bel giorno si risveglia sulle coste della Sicilia senza ricordare cosa gli è successo, è in realtà molto più di una semplice storia.
Innanzitutto è la vita del suo autore. Thomas Hürlimann è onnipresente in quest’opera fortemente autobiografica a partire dal nome e dalla data di nascita del protagonista, all’incidente in auto sul ponte, ai tentativi di scrittura, fino al viaggio nella DDR e a quei piccoli dettagli che solo chi lo ha conosciuto da vicino, se non lui stesso, può conoscere. Quello che il romanzo ci racconta è il viaggio esistenziale di un uomo alla ricerca della sua identità, in perenne scontro con la figura paterna che in seconda generazione guida l’attività di famiglia, un’azienda che produce preservativi (l’ironia sagace e pungente, tratto tipico della raffinata e precisa scrittura di Hürlimann, anche qui non manca) e considera il figlio un buono a nulla, un fallito. Molti critici lo hanno definito un’odissea surreale perché proprio come Ulisse, Heinrich Übel affronta viaggi e fatiche con un solo fine: fare ritorno a casa dal padre. Da qui il titolo dell’opera Heimkehr, «Ritorno a casa».
Ma, tra le righe di questo volume di oltre cinquecento pagine, c’è di più, a partire dalla copertina rigida viola. In alchimia il viola, unione del rosso e del blu, è il colore della metamorfosi, della transizione. Il viola è il colore tradizionale della mistica, della spiritualità, indica l’unione degli opposti. La trasformazione, la metamorfosi, la costante crescita e maturazione del protagonista sono fra i punti cardine del romanzo. Così come l’amore, l’attrazione degli opposti. Ci viene detto sin dall’inizio, sin da quando il giovane Heinrich si risveglia nella bella e calda Sicilia dove l’autore nel descriverci luoghi e paesaggi ci delizia con vere pennellate letterarie.
Ad esempio quando Heinrich, seduto nella grande piazza al Grancaffè Garibaldi, si dice orgoglioso di avere imparato l’arte di bere il caffè. Lo guardano la cattedrale e gli antichi palazzi con i loro colonnati mentre il signore dell’isola, Helios Hyperion, il dio sole, fa saltare i bottoni alle camicie delle signore e l’aria profuma del balsamo dei mandorli in fiore. È una guida turistica a insegnare a Heinrich, che crede di essere una sorta di Robinson, quali sono le parole chiavi dell’isola: la trasmisgrazione dell’anima di Empedocle, la teoria delle idee di Platone, la metamorfosi delle piante di Goethe e la commedia pirandelliana. I quattro autori sono stati qui. Goethe nell’aprile del 1787, Pirandello in Sicilia ci è nato nel giugno del 1867, Empedocle nel V secolo a.C. si gettò nell’Etna, famoso è il suo sandalo rigurgitato dal vulcano, Platone venne tre volte tra il 388 a.C. al 360 a.C.
Se non sono queste indicazioni a darci il vento di crociera, cosa allora? Tutto ci riporta ai quattro elementi o alle quattro radici, come scrive Empedocle nel poema Sulla natura cercando la ragione del divenire e interpretandolo come mescolanza e dissoluzione delle quattro radici di tutte le cose: fuoco, acqua, terra e aria. L’uomo, microcosmo, è lo specchio del macrocosmo «noi conosciamo la terra con la terra, l’acqua con l’acqua, il fuoco con il fuoco, l’amore con l’amore». Non solo, Empedocle credeva alla trasmigrazione dell’anima, come Heinrich racconta alla bella Mo dai capelli rosso rame che come una venere emerge davanti a lui dalle acque del mare, «i suoi sogni avevano svelato ad Empedocle di aver vissuto già molte vite, era stato una giovane ragazza e un pesce». Mo, diminutivo di Montag, è la sua anima, Heinrich ne è convinto, «alla nascita la nostra anima perde la sua conoscenza ma determinate intuizioni, ricordi che abbiamo vissuto prima, nel cielo delle idee, restano».
Sono proprio loro, le donne che costellano la vita di Heinrich e le diverse forme d’amore che ognuna rappresenta, a ricordarmi due opere di Goethe: Gli anni di apprendistato e Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister. Nel viaggio iniziatico del protagonista Wilhelm le donne giocano un ruolo fondamentale, grazie a loro si attua la sua crescita e ben lo spiega Maria Elena Caiola, docente di lingua e cultura tedesca, nella sua tesi Wilhelm Meister, l’amore come iniziazione: «Ognuno riconosce nella persona amata la possibilità di evolvere e di migliorare se stesso e l’altro. È il cammino dell’essere umano al fine di armonizzare e trasfigurare la sua natura interiore. È un amore vissuto come stato di coscienza e come legge di vita. Come energia che tocca le profondità dell’essere. Come il grande mediatore tra la natura terrena e divina dell’uomo».
Così l’amore per l’attrice Mariane è amore fisico, quello per Aurelie amore amico, per Therese amore mentale e quello per Natalie, la bella Amazzone, è l’amore supremo che riunisce tutti gli amori in armonia. Nel caso di Heinrich la bella amazzone è Mo. Quella Mo che seduta su una panchina a Berlino est, mentre la gente a Bornholmer Strasse si dirige in massa verso il muro appena crollato, gli grida «Heinrich sei vivo!». Heinrich è sulla ruota panoramica, vuole salire al cielo, dare un’occhiata lassù dove lo attende la sua prossima vita, dove potrà finalmente intraprendere il suo vero ritorno a casa. Ma la ruota panoramica non è soltanto un giro nel cielo: simboleggia il cerchio senza inizio né fine, il serpente che si morde la coda. L’ouroboros indica l’eterno ritorno, l’energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica delle cose.
Alla fine, dopo mille peripezie, fallimenti, illusioni e viaggi che lo portano dalla Svizzera alla Sicilia, dall’Africa alla Germania, Heinrich Übel tornerà a casa? Lo scoprirete solo leggendo, di certo posso dirvi che fare ritorno a casa non è una cosa facile, può essere il viaggio di una vita o una grande illusione pirandelliana.