Il remake prezioso di Sofia Coppola

Il film è stato premiato a Cannes ma il confronto con l’originale firmato da Don Siegel nel 71 è difficile
/ 21.09.2017
di Fabio Fumagalli

**(*) L’inganno (The Beguiled), di Sofia Coppola, con Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence (Stati Uniti 2017)

Come è capitato sovente nella carriera dell’autrice di Lost in Translation, dopo il suo splendido esordio nel 2000 con Il giardino delle vergini suicide, l’ultimo film della figlia del grande Francis vive d’indubbia intelligenza, cura e talento espressivo; quasi frenando quand’è il momento di esplodere.

A sua scusante, una premessa va fatta. La regista doveva girare una versione ispirata alla fiaba di Andersen La sirenetta: quando, alla Universal, si opposero all’idea di Sofia Coppola di affidare il ruolo di protagonista a una sconosciuta. La scelta cadde allora su un compromesso, accettato da entrambe le parti e certo di lusso: un cast stellare, con Nicole Kidman, Colin Farrell, Kirsten Dunst e Elle Fanning. Ma un progetto minato, però, dal vizietto sempre più caro a Hollywood, quello del remake che permette di andare più o meno sul sicuro, in epoca non certo facile com’è l’attuale.

Solo che The Beguiled (un inganno, in inglese, ma successivo a un’opera di seduzione) era un indubbio capolavoro: girato nel 1971 da Don Siegel, effettivamente deludente al botteghino, fu interpretato da un Clint Eastwood clamoroso quarantenne (il titolo italiano era La notte brava del soldato Jonathan). Certo, l’idea di Sofia Coppola era di girare con occhio femminile la vicenda del soldato nordista, ferito durante la guerra di Secessione, che viene accolto in terra sudista, curato in un collegio preservato dalla violenza dilagante all’esterno e concupito dalle ospiti giovani (e meno giovani).

Le intenzioni della regista erano quelle di porgere, nell’osservazione di altre epoche, il proprio sguardo raffinato, moderno, ironico su un microcosmo che muterà presto in scabroso e soprattutto ambiguo, evadendo dal contesto puro e semplice dell’aneddoto, romanzato nel 1966 da Thomas Cullinan, per inserirlo nella preziosità delle illuminazioni interne e nello splendore del paesaggio ottocentesco esterno. Il tutto carpito da un direttore della fotografia come Philippe Le Sourd, collaboratore di Ridley Scott e Wong Kar-wai.

Sono raffinatezze che devono aver valso a L’inganno il Premio alla Regia di Cannes. Ma rimane il fatto che la volontà di Sofia Coppola di sfociare in una femminilità maliziosa, nell’ironia di certe situazioni, finisce per dissolversi in una diffusa anche se impeccabile superficialità. L’impronta prepotente, equivoca, a tratti quasi malsana che permeava il film di Don Siegel è qui solo un ricordo. Si pensi ad esempio alla cattiveria furba e destabilizzatrice che sottolineava politicamente il ruolo della schiava di colore, incaricata delle faccende più penose, elemento totalmente scomparso dalla nuova versione. Il personaggio interpretato da Clint Eastwood, seduttore prima ancora di essere manipolatore, finisce ora per stemperarsi in quello di Colin Farrell. 

Sofia Coppola deve probabilmente aver ritenuto misogino il film di Siegel. Non ha forse del tutto torto: ma dietro le sue splendide apparenze il suo film ha rischiato di perdersi.