Non è facile etichettare i lavori di François Bonjour: vi si possono trovare rimandi al Surrealismo, richiami dadaisti, suggestioni legate all’Informale, riferimenti all’Arte Povera e assonanze con la poesia visiva, ma la verità è che sfuggono a ogni tentativo di ricondurli a un contesto artistico specifico, essendo prima di tutto manifestazione della volontà di sperimentazione e della piena libertà espressiva del loro autore.
A testimoniare la capacità dell’artista, ticinese d’adozione, di elaborare una peculiare cifra stilistica da sempre affrancata da vincoli o convenzioni è una mostra allestita in questi giorni nei caratteristici spazi del Torchio delle noci di Sonvico, una rassegna che si pone come una piccola retrospettiva mossa dall’intento di presentare le tappe salienti della pluridecennale attività di Bonjour.
Le opere raccolte in questa esposizione intessono una trama in cui si fanno evidenti le dinamiche e gli sviluppi di una ricerca artistica che ha fatto della coerenza il suo punto di forza. Una ricerca che procede fin dagli anni Settanta, caratterizzata da un continuo approfondimento del proprio linguaggio e da un avanzare risoluto che ha saputo rinnovarsi traendo linfa vitale dal confronto e dalla riflessione.
Bonjour lavora attraverso la materia per giungere a una naturale fusione tra pittura, scrittura e scultura caricando le sue creazioni di una valenza universale e coinvolgendo chi le guarda in una narrazione densa di significati, la cui comprensione permette di addentrarsi in un mondo sublimato ma al contempo fortemente ancorato al reale.
Nelle sue opere la parola incontra l’immagine, l’oggetto incontra la superficie generando spazi da esplorare con lo sguardo e con la mente, territori popolati da un intrico di colori, di materiali e di tracce che si fanno frammenti di esistenza e meditazioni sul tempo. L’artista li organizza con perizia, scandendone il ritmo, calibrandone le parti e soppesandone le proporzioni affinché ogni dettaglio abbia un ruolo specifico nello svolgimento della storia.
Ne nascono piccoli palcoscenici in cui la vicenda umana viene narrata non da un singolo oggetto ma dallo stratificarsi di più elementi, sempre scelti accuratamente, che instaurano rapporti di tensioni e di corrispondenze l’un con l’altro.
Narratore raffinato e arguto, Bonjour ci sprona così ad andare dietro le apparenze, a introdurci nei recessi degli agglomerati materici e cromatici, a oltrepassare la congerie di impronte per giungere a una realtà che racchiude in sé verità e visione.
Non ci sono preziosismi nei lavori di Bonjour: gli strumenti con cui dà vita al suo linguaggio appartengono alla vita di tutti i giorni, sono reliquie del quotidiano che vengono investite di valori inediti. Carte, cartoni, legni, plexiglas, vetri e corde vengono combinati tra loro, aggregati, amalgamati con il colore e spesso accostati alla scrittura, parte integrante delle opere dell’artista ormai da molti anni. Una scrittura che sa insinuarsi silenziosa ad arricchire la composizione sotto forma di calligrafie flessuose, di ritagli di giornale e di pagine di libro, delineando un microcosmo segnico sciolto ed elegante in cui la parola, sia essa vocabolo vissuto o tratto puramente estetico, si presenta come un’esortazione alla libera lettura del dipinto.
Tra gli esiti più recenti troviamo in mostra alcuni lavori realizzati nel 2017 che hanno il sapore di un ritorno alle origini. Si tratta di opere che richiamano concettualmente le creazioni degli anni Settanta, animate come sono dal medesimo spirito ludico e dalla stessa volontà di pungolare sottilmente il nostro pensiero attraverso allusioni che diventano giocose metafore della nostra epoca. Di particolare interesse, poi, sono i lavori in cui è protagonista la cera rossa, elemento molto caro a Bonjour, capace con la sua presenza vivida di mescolarsi con gli altri materiali sollecitando il fervore combinatorio della composizione.
Con il suo linguaggio evocativo e misterioso, genuino e ironico, Bonjour appronta universi poetici di segni e di sostanze, di memorie e di sentimenti. Le sue opere si fanno contenuto e contenitore, quasi a dire che c’è ancora un posto sicuro, un luogo adatto, per raccogliere, riflettere e soprattutto raccontare.