C’è un dipinto di Valeria Pasta Morelli, pittrice nata a Mendrisio nel 1858, che racchiude in un’emblematica immagine di serena intimità quelli che sono stati per l’artista ticinese i due poli attorno a cui è ruotata la sua intera esistenza: la famiglia e la pittura. In quest’opera, dal titolo Autoritratto con il figlio Valerio, datata 1890, la donna appare seduta al cavalletto, tavolozza e pennello alla mano, mentre tiene in grembo il suo bimbo di pochi mesi: lo sguardo scruta il quadro in esecuzione, il braccio destro, disteso in un momento di pausa, sembra pronto ad avvicinarsi alla tela per delineare nuovi tratti, quello sinistro cinge teneramente il figlioletto.
Se il ruolo di moglie e di madre relega l’attività pittorica della Pasta Morelli all’ambito domestico, è pur vero che dopo il matrimonio la donna riesce a dedicarsi liberamente alla sua passione per l’arte, realizzando lavori di pregevole fattura che testimoniano un talento alimentato con entusiasmo e sorretto da studi specifici, cosa piuttosto rara per le signore del tempo.
Il dipinto descritto appartiene al nucleo di opere che la nipote della Pasta Morelli ha donato di recente alla Pinacoteca Züst di Rancate con la speranza che la figura della pittrice ticinese, oggi ancora poco nota, potesse essere apprezzata da un pubblico più vasto. E così è stato. La rassegna allestita negli spazi del museo rancatese, che espone gli oltre trenta dipinti del lascito (tutti restaurati per l’occasione) corredati da numerosi altri oggetti, ha il merito di far emergere dall’oblio una personalità del nostro cantone che non ha beneficiato sinora del meritato riconoscimento.
Essendo un’artista per i più tuttora da scoprire, occorre dapprima introdurre l’ambiente famigliare in cui si è mossa, contesto da cui prende avvio anche il percorso della mostra alla Züst, con due sale dedicate al padre e allo zio della pittrice. Il primo, Carlo Pasta, medico chirurgo, è stato uomo ambizioso, caratteristica ereditata dai suoi avi, imprenditori arrivati a Mendrisio nel 1776 dalla non lontana Gallarate e abili nell’intessere sin da subito strette relazioni con il territorio. La rassegna ricorda il lungimirante dottore soprattutto per quello che è stato il suo progetto più grande, la costruzione dell’albergo sul Monte Generoso nel 1867 e la ferrovia a cremagliera che conduce alla vetta. Nello spazio che descrive l’impresa troviamo alcune opere di Valeria Pasta Morelli che hanno per soggetto la montagna tanto cara a lei e alla sua famiglia, di cui la pittrice sa restituire scorci e panorami con vivido sentimento. A creare una sorta di contraddittorio, è stato esposto anche un quadro di Spartaco Vela, artista ticinese ostile alla modernizzazione del Generoso, in cui una fanciulla, alla vecchia maniera, ascende alla cima sul dorso di un asino.
Lo zio della pittrice, Bernardino, dedito all’arte fino a che, nel 1869, decide come il fratello di cimentarsi nel settore alberghiero, è protagonista con alcuni suoi lavori della sala successiva. Formatosi a Brera, ha rivolto la sua attenzione perlopiù alla scena di genere e al ritratto, senza però disdegnare le vedute paesaggistiche. In questi dipinti emerge come l’artista amasse rappresentare brani della quotidianità popolare e borghese con una narrazione semplice in sintonia da una parte con la pittura di Domenico e Gerolamo Induno, dall’altra con i modi dei Macchiaioli.
È probabilmente per seguire le orme dello zio che Valeria Pasta Morelli si avvicina all’arte, appoggiata senza remore dalla famiglia nella sua scelta di studiare all’accademia braidense, rientrando così nell’esiguo novero di ragazze che a quell’epoca frequentava l’ateneo milanese.
La mostra racconta gli esordi artistici della pittrice attraverso alcuni nudi femminili risalenti alla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, per poi testimoniare il suo interesse per la ritrattistica, genere a cui si applica guardando l’esempio di Giuseppe Bertini, e per le scene domestiche teneramente patetiche, vicine, come già era stato per lo zio, allo stile pregno di pathos dei fratelli Induno.
Dopo il matrimonio con Enrico Morelli, alto funzionario dell’esercito italiano, e la nascita del figlio, l’artista fa della famiglia una delle iconografie predilette della sua produzione: in una bella tela del 1898 (qui a lato) si ritrae accanto al marito, intento a leggere il giornale mentre fuma un sigaro, e al loro bambino, che stuzzica scherzosamente l’orecchio del padre con una pagliuzza, immortalando un delicato episodio di gioiosa armonia quotidiana.
Nei dipinti dal tema arcadico-pastorale affiora invece quanto sia stata fondamentale per la Pasta Morelli la lezione di Bartolomeo Giuliano, nel cui studio aveva perfezionato la tecnica a olio subito dopo Brera. Proprio le raffigurazioni agresti e marittime del maestro lombardo influenzano molte delle composizioni della pittrice. Ne è un esempio Donna che sfoglia la margherita, del 1895-98, opera che ritrae una contadina seduta sull’uscio di casa e assorta nei suoi pensieri amorosi, esplicito richiamo, nella posa della fanciulla e nel delicato senso di poesia elegiaca che pervade la scena, al dipinto Alla fonte di Giuliano, pure presente in mostra.
Nei lavori esposti si nota come la Pasta Morelli non abbia mai affrontato la natura morta, cosa piuttosto insolita se si pensa che questo era il genere che al tempo impegnava in maniera quasi esclusiva le donne artiste. Quanto tale soggetto fosse in voga nell’universo femminile viene documentato nella parte finale della rassegna, che raccoglie alcune opere realizzate da pittrici ticinesi attive tra Ottocento e Novecento. Erano signore appartenenti alla classe agiata che spesso coltivavano l’arte per hobby frequentando l’atelier di Gioachino Galbusera, uno dei maestri più richiesti dalla borghesia luganese, per trarre ispirazione proprio dai suoi raffinati quadri di fiori e frutta. Tra i nomi che compaiono in questa sezione ci sono quelli di Marie-Louise Audemars Manzoni e di Giovanna Béha-Castagnola, che come la Pasta Morelli hanno studiato a Brera, quelli di Elisa Rusca, di Adele Andreazzi, di Olga Clericetti, di Lina Grazioli, di Antonietta Solari, di Clara Lendi e di Regina Conti: quasi tutte artiste per diletto, donne che hanno coltivato privatamente l’amore per la pittura ma che, nonostante ciò, hanno saputo arricchire con la loro sensibilità l’arte del nostro territorio.