Il peggio dell’Umanità, con allegria

Il Teatro d’emergenza propone «Cattiverie»
/ 08.05.2017
di Giorgio Thoeni

Luca Spadaro ha mano felice per la drammaturgia. Era però dal 2011, anno di Ulisse nascita di un eroe, che ci lasciava a bocca asciutta. Da poco ha fortunatamente aggiunto Cattiverie al repertorio del suo «Teatro d’emergenza». Con casuale similitudine al recente exploît di Marthaler che accarezza l’idea della morte del teatro. Se il regista di King Size lo lascia dedurre, la «cattiveria» di Spadaro non lascia dubbi sulla tesi, come in uno dei sornioni ammonimenti snocciolati in apertura e destinati al pubblico: «il teatro è morto ma questo non dà diritto al rimborso del biglietto». 

Cattiverie ha debuttato al Teatro Foce di Lugano e al Paravento di Locarno ma meriterebbe vita più lunga. Sia per l’originale struttura drammaturgica sia per la regia di una squadra di ottimi attori. Si tratta, citiamo, di «tre pezzi brevi per capire chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo e per risolvere una volta per tutte i sempiterni problemi che attanagliano l’umanità: la povertà, la violenza dell’uomo e lo smaltimento delle vittime».

In sostanza sono tre monologhi liberamente riscritti e tratti da Una modesta proposta di Jonathan Swift (1729), da L’assassinio come una delle belle arti di Thomas de Quincey (1827) e da Yossl Rakover si rivolge a Dio di Zvi Kolitz (1946). Come in un «varietà», fra siparietti e canzoni, ecco tre «sketches» cuciti con modalità differenti. La feroce provocazione satirica dell’autore di Gulliver per combattere la fame in Irlanda: macellare e mangiare i bambini. L’ironica apologia sulla perfezione dell’omicidio. L’apice dell’orrore disumano da una (finta) lettera ritrovata fra le rovine del ghetto di Varsavia: una preghiera blasfema rivolta a Dio dall’ultimo ebreo superstite prima di sacrificarsi in un disperato atto di resistenza.

Oltre alla regia di Luca Spadaro, autore di uno spettacolo intelligentemente «politico», un deciso plauso va agli attori: Matteo Ippolito (alter-ego di Lenny Bruce inseguito da risate artificiali come in uno «stand-up» televisivo), Sebastiano Bòttari (minuzioso conferenziere «noir» in stile cechoviano), Massimiliano Zampetti (dispensatore di consigli e struggente controfigura sul finale) e Silvia Pietta (intensa e perfetta nel ruolo dell’attrice che studia la parte fino a trasfigurarsi nella tragedia). Bella presenza per il canto straniante di Valentina Londino. Chi se l’è perso vada al Teatro Libero di Milano il 17 e 18 giugno prossimi.