Bibliografia
Nicoletta Bortolotti, Chiamami sottovoce. HarperCollins, 2018.


Il papà in galleria, il figlio in soffitta

Nel libro «Chiamami sottovoce» Nicoletta Bortolotti si china sulla difficile condizione degli stagionali impegnati nella costruzione della Galleria del San Gottardo
/ 14.01.2019
di Massimo Melasecca

Nicoletta Bortolotti con questa sua ultima fatica vuole sensibilizzarci su una questione non trascurabile, occorsa negli anni Settanta, quando gli operai italiani costruivano la Galleria autostradale del San Gottardo. Dalla lettura fluida, il romanzo si tiene a tre voci: quella di Nicole, quella di Michele e una voce narrante che racconta in particolare del personaggio di Delia, della sua famiglia e di alcuni antefatti legati al periodo della Seconda guerra mondiale, per cui i Pizzorno, questo il nome della genealogia familiare, furono tirati in ballo tra potenziali attentatori di Mussolini e voglia di riscatto partigiano.

Ma torniamo ai personaggi. Nicole è la figlia di un ingegnere italiano che fa parte di un’équipe di progettatori e coordinatori della mastodontica opera, all’epoca la galleria autostradale più lunga del mondo, che ebbe nell’airolese Giovanni Lombardi il suo principale artefice in termini di concepimento. Michele, è un bambino entrato illegalmente in Svizzera, nascosto nel bagagliaio dell’auto di suo padre minatore e di sua madre. Delia è la donna che darà loro ospitalità, relegando in soffitta il bimbo, per questioni di legge. A quel tempo, infatti, non era possibile portare legalmente i figli con sé. Il povero Michele si ritrova così solo nella soffitta di un paese straniero: Airolo. Il padre lavora in miniera e la madre è occupata, così Michele vede poco i suoi cari. La soffitta diventa il luogo della sua infanzia, tra pranzi portati su e compleanni festeggiati a tende chiuse, per non farsi scoprire.

Il libro si rivela al lettore attraverso la ricostruzione biografica dei tre personaggi principali della storia, e le trecento e più pagine si presentano senza intoppi. Avvicinandosi ai nostri giorni, per poi tornare in ricognizione negli anni addietro, Bortolotti muove le storie dei tre personaggi principali del romanzo, riannodando i fili di una trama che tenderà a riavvicinarli, per un’ultima volta, in nome della verità. 

Nicoletta Bortolotti vuole portare alla luce una realtà della nostra terra risalente a poco meno di mezzo secolo fa, quando a costruire la Galleria del San Gottardo era presente mezza Europa: portoghesi, spagnoli, ma anche ex-jugoslavi e austriaci. La parte del leone però la facevano soprattutto gli italiani. Quelli che non volevano separarsi dai propri figli li portavano con sé nei bagagliai delle auto, per nasconderli, una volta arrivati a destinazione, nelle case indigene della Leventina, con l’aiuto dei ticinesi. Una realtà, che, a raccontarla come fa la scrittrice nata a Sorengo e che vive e opera a Milano, sembra di tempi ben più lontani e sulla quale non si è scritto molto; ma che ricorda, soprattutto alla nostra generazione di cinquantenni, la nostra infanzia, a cui l’autrice fa spesso e volentieri riferimento attraverso musiche, programmi televisivi, aneddoti e personaggi dell’epoca. 

Una scrittura dolce, per ricordarci di un tempo lontano e pieno di ricordi, ma anche di misteri e sotterfugi, come Nicoletta Bortolotti ci comunica con questo suo ultimo lavoro.